Decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152

Decreto legislativo recante disposizioni sulla tutela delle acque dall'inquinamento e recepimento della direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane e della direttiva 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole

(G.U. n. 124 del 29 maggio 1999, s.o. n. 101/L) con le correzioni di cui all'avviso di rettifica pubblicato sulla G.U. n. 170 del 22 luglio 1999

 

Titolo I - Principi generali e competenze

 

1. Finalità

1. Il presente decreto definisce la disciplina generale per la tutela delle acque superficiali, marine e sotterranee perseguendo i seguenti obiettivi:

a)   prevenire e ridurre l’inquinamento e attuare il risanamento dei corpi idrici inquinati;

b)   conseguire il miglioramento dello stato delle acque ed adeguate protezioni di quelle destinate a particolari usi;

c)   perseguire usi sostenibili e durevoli delle risorse idriche, con priorità per quelle potabili;

d)   mantenere la capacità naturale di autodepurazione dei corpi idrici, nonché la capacità di sostenere comunità animali e vegetali ampie e ben diversificate.

2. Il raggiungimento degli obiettivi indicati al comma 1 si realizza attraverso i seguenti strumenti:

a)            l’individuazione di obiettivi di qualità ambientale e per specifica destinazione dei corpi idrici;

b)            la tutela integrata degli aspetti qualitativi e quantitativi nell’ambito di ciascun bacino idrografico ed un adeguato sistema di controlli e di sanzioni;

c)            il rispetto dei valori limite agli scarichi fissati dallo Stato, nonché la definizione di valori limite in relazione agli obiettivi di qualità del corpo recettore;

d)            l’adeguamento dei sistemi di fognatura, collettamento e depurazione degli scarichi idrici, nell’ambito del servizio idrico integrato di cui alla legge 5 gennaio 1994, n. 36;

e)            l’individuazione di misure per la prevenzione e la riduzione dell’inquinamento nelle zone vulnerabili e nelle aree sensibili;

f)              l’individuazione di misure tese alla conservazione, al risparmio, al riutilizzo ed al riciclo delle risorse idriche.

3. Le regioni a statuto ordinario regolano la materia disciplinata dal presente decreto nel rispetto di quelle disposizioni in esso contenute che, per la loro natura riformatrice costituiscono principi fondamentali della legislazione statale ai sensi dell’articolo 117, primo comma, della Costituzione. Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano adeguano la propria legislazione al presente decreto secondo quanto previsto dai rispettivi statuti e dalle relative norme di attuazione.

 

2. Definizioni

1. Ai fini del presente decreto si intende per:

a)   "abitante equivalente": il carico organico biodegradabile avente una richiesta biochimica di ossigeno a 5 giorni (BOD5) pari a 60 grammi di ossigeno al giorno;

b)   acque ciprinicole": le acque in cui vivono o possono vivere pesci appartenenti ai ciprinidi (Cyprinidae) o a specie come i lucci, i pesci persici e le anguille;

c)   "acque costiere": le acque al di fuori della linea di bassa marea o del limite esterno di un estuario;

d)   "acque salmonicole": le acque in cui vivono o possono vivere pesci appartenenti a specie come le trote, i temoli e i coregoni;

e)   “estuario”: l’area di transizione tra le acque dolci e le acque costiere alla foce di un fiume, i cui limiti esterni verso il mare sono definiti con decreto del Ministro dell’ambiente; in via transitoria sono fissati a cinquecento metri dalla linea di costa;

f)    "acque dolci": le acque che si presentano in natura con una bassa concentrazione di sali e sono considerate appropriate per l'estrazione e il trattamento al fine di produrre acqua potabile;

g)   “acque reflue domestiche”: acque reflue provenienti da insediamenti di tipo residenziale e da servizi e derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche;

h)   "acque reflue industriali": qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici in cui si svolgono attività commerciali o industriali, diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento;

i)     "acque reflue urbane": acque reflue domestiche o il miscuglio di acque reflue domestiche, di acque reflue industriali ovvero meteoriche di dilavamento;

l)     “acque sotterranee”: le acque che si trovano al di sotto della superficie del terreno, nella zona di saturazione e in diretto contatto con il suolo e il sottosuolo;

m) “agglomerato”: area in cui la popolazione ovvero le attività economiche sono sufficientemente concentrate così da rendere possibile la raccolta e il convogliamento delle acque reflue urbane verso un sistema di trattamento di acque reflue urbane o verso un punto di scarico finale;

n)   “applicazione al terreno”: l'apporto di materiale al terreno mediante spandimento sulla superficie del terreno, iniezione nel terreno, interramento, mescolatura con gli strati superficiali del terreno;

o)   “autorità d’ambito”: la forma di cooperazione tra comuni e province ai sensi dell’articolo 9, comma 2, della legge 5 gennaio 1994, n. 36;

p)   “bestiame”: si intendono tutti gli animali allevati per uso o profitto;

q)   “composto azotato”: qualsiasi sostanza contenente azoto, escluso l’azoto allo stato molecolare gassoso;

r)    “concimi chimici”: qualsiasi fertilizzante prodotto mediante procedimento industriale;

s)   “effluente di allevamento”: le deiezioni del bestiame o una miscela di lettiera e di deiezione di bestiame, anche sotto forma di prodotto trasformato;

t)    “eutrofizzazione”: arricchimento delle acque in nutrienti, in particolare modo di composti dell'azoto ovvero del fosforo, che provoca una proliferazione delle alghe e di forme superiori di vita vegetale, producendo una indesiderata perturbazione dell’equilibrio degli organismi presenti nell’acqua e della qualità delle acque interessate;

u)   “fertilizzante”: fermo restando quanto disposto dalla legge 19 ottobre 1984, n. 748, ai fini del presente decreto è fertilizzante qualsiasi sostanza contenente, uno o più composti azotati, sparsa sul terreno per stimolare la crescita della vegetazione; sono compresi gli effluenti di allevamento, i residui degli allevamenti ittici e i fanghi di cui alla lettera v);

v)   “fanghi”: i fanghi residui, trattati o non trattati, provenienti dagli impianti di trattamento delle acque reflue urbane;

z)   “inquinamento”: lo scarico effettuato direttamente o indirettamente dall’uomo nel l'ambiente idrico di sostanze o di energia le cui conseguenze siano tali da mettere in pericolo la salute umana, nuocere alle risorse viventi e al sistema ecologico idrico, compromettere le attrattive o ostacolare altri usi legittimi delle acque;

aa)        “rete fognaria”: il sistema di condotte per la raccolta e il convogliamento delle acque reflue urbane;

bb)        “scarico”: qualsiasi immissione diretta tramite condotta di acque reflue liquide, semiliquide e comunque convogliabili nelle acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione. Sono esclusi i rilasci di acque previsti all’articolo 40;

cc)        “acque di scarico”: tutte le acque reflue provenienti da uno scarico;

dd)        "trattamento appropriato": il trattamento delle acque reflue urbane mediante un processo ovvero un sistema di smaltimento che dopo lo scarico garantisca la conformità dei corpi idrici recettori ai relativi obiettivi di qualità ovvero sia conforme alle disposizioni del presente decreto;

ee)        "trattamento primario": il trattamento delle acque reflue urbane mediante un processo fisico ovvero chimico che comporti la sedimentazione dei solidi sospesi, ovvero mediante altri processi a seguito dei quali il BOD5 delle acque reflue in arrivo sia ridotto almeno del 20% prima dello scarico e i solidi sospesi totali delle acque reflue in arrivo siano ridotti almeno del 50%;

ff)  "trattamento secondario": il trattamento delle acque reflue urbane mediante un processo che in genere comporta il trattamento biologico con sedimentazioni secondarie, o un altro processo in cui vengano rispettati i requisiti di cui alla tabella 1 dell'allegato 5;

gg)        “stabilimento industriale” o, semplicemente, “stabilimento”: qualsiasi stabilimento nel quale si svolgono attività commerciali o industriali che comportano la produzione, la trasformazione ovvero l’utilizzazione delle sostanze di cui alla tabella 3 dell’allegato 5 ovvero qualsiasi altro processo produttivo che comporti la presenza di tali sostanze nello scarico;

hh)        "valore limite di emissione": limite di accettabilità di una sostanza inquinante contenuta in uno scarico, misurata in concentrazione, ovvero in peso per unità di prodotto o di materia prima lavorata, o in peso per unità di tempo;

ii)    "zone vulnerabili": zone di territorio che scaricano direttamente o indirettamente composti azotati di origine agricola o zootecnica in acque già inquinate o che potrebbero esserlo in conseguenza di tali tipi di scarichi.

 

3. Competenze

1. Le competenze nelle materie disciplinate dal presente decreto sono stabilite dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, e dagli altri provvedimenti statali e regionali adottati ai sensi della legge 15 marzo 1997, n. 59.

2. Lo Stato, le regioni, le province, i comuni, le autorità di bacino, l’Agenzia nazionale e le Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente assicurano l’esercizio delle competenze già spettanti alla data di entrata in vigore della legge 15 marzo 1997, n. 59, fino all’attuazione delle disposizioni di cui al comma 1.

3. In relazione alle funzioni e ai compiti spettanti alle regioni e agli enti locali, in caso di accertata inattività che comporti inadempimento agli obblighi derivanti dall’appartenenza all’Unione europea o pericolo di grave pregiudizio alla salute o all’ambiente o inottemperanza agli obblighi di informazione, il Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta dei Ministri competenti, esercita i poteri sostitutivi in conformità all’articolo 5 del decreto legislativo del 31 marzo 1998, n. 112, fermi restando i poteri di ordinanza previsti dall’ordinamento in caso di urgente necessità, nonchè quanto disposto dall’articolo 53.

4. Le prescrizioni tecniche necessarie all’attuazione del presente decreto sono stabilite negli allegati al decreto stesso e con uno o più regolamenti adottati ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le provincie autonome di Trento e di Bolzano; attraverso i medesimi regolamenti possono altresì essere modificati gli allegati al presente decreto per adeguarli a sopravvenute esigenze o a nuove acquisizioni scientifiche o tecnologiche.

5. Ai sensi dell’articolo 20 della legge 16 aprile 1987, n. 183, con decreto dei Ministri competenti per materia, si provvede alla modifica degli allegati al presente decreto per dare attuazione alle direttive che saranno emanate dall’Unione europea, per le parti in cui queste modifichino modalità esecutive e caratteristiche di ordine tecnico delle direttive dell’Unione europea recepite dal presente decreto.

6. I consorzi di bonifica e di irrigazione, anche attraverso appositi accordi di programma con le competenti autorità, concorrono alla realizzazione di azioni di salvaguardia ambientale e di risanamento delle acque, anche al fine della loro utilizzazione irrigua, della rinaturalizzazione dei corsi d’acqua e della fitodepurazione.

7. Le regioni assicurano la più ampia divulgazione delle informazioni sullo stato di qualità delle acque e trasmettono all’Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente i dati conoscitivi e le informazioni relative all’attuazione del presente decreto, nonché quelli prescritti dalla disciplina comunitaria, secondo le modalità indicate con decreto del Ministro dell’ambiente, di concerto con i Ministri competenti, d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le provincie autonome di Trento e di Bolzano. L’Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente elabora a livello nazionale, nell’ambito del Sistema informativo nazionale ambientale, le informazioni ricevute e le trasmette ai Ministeri interessati e al Ministero dell’ambiente anche per l’invio alla Commissione europea. Con lo stesso decreto sono individuati e disciplinati i casi in cui le regioni sono tenute a trasmettere al Ministero dell’ambiente i provvedimenti adottati ai fini delle comunicazioni all’Unione europea o in ragione degli obblighi internazionali assunti.

8. Sono fatte salve le competenze spettanti alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano ai sensi dei rispettivi statuti e delle relative norme di attuazione.

9. Le regioni favoriscono l’attiva partecipazione di tutte le parti interessate all’attuazione del presente decreto in particolare in sede di elaborazione, revisione e aggiornamento dei piani di tutela.

 

Titolo II - Obiettivi di qualità

 

Capo I - Obiettivo di qualità ambientale e obiettivo di qualità per specifica destinazione

 

4. Disposizioni generali

1. Al fine della tutela e del risanamento delle acque superficiali e sotterranee, il presente decreto individua gli obiettivi minimi di qualità ambientale per i corpi idrici significativi e gli obiettivi di qualità per specifica destinazione per i corpi idrici di cui all’articolo 6, da garantirsi su tutto il territorio nazionale.

2. L’obiettivo di qualità ambientale è definito in funzione della capacità dei corpi idrici di mantenere i processi naturali di autodepurazione e di supportare comunità animali e vegetali ampie e ben diversificate.

3. L’obiettivo di qualità per specifica destinazione individua lo stato dei corpi idrici idoneo a una particolare utilizzazione da parte dell’uomo, alla vita dei pesci e dei molluschi.

4. In attuazione del presente decreto sono adottate, mediante il piano di tutela delle acque di cui all’articolo 44, misure atte a conseguire i seguenti obiettivi entro il 31 dicembre 2016:

a)   sia mantenuto o raggiunto per i corpi idrici significativi superficiali e sotterranei l’obiettivo di qualità ambientale corrispondente allo stato di “buono” come definito nell’Allegato 1;

b)   sia mantenuto, ove già esistente, lo stato di qualità ambientale “elevato” come definito nell’Allegato 1;

c)   siano mantenuti o raggiunti altresì per i corpi idrici a specifica destinazione di cui all’articolo 6 gli obiettivi di qualità per specifica destinazione di cui all’allegato 2, salvo i termini di adempimento previsti dalla normativa previgente.

5. Qualora per un corpo idrico siano designati obiettivi di qualità ambientale e per specifica destinazione che prevedono per gli stessi parametri valori limite diversi, devono essere rispettati quelli più cautelativi; quando i limiti più cautelativi si riferiscono al conseguimento dell’obiettivo di qualità ambientale, il rispetto degli stessi decorre dal 31 dicembre 2016.

6. Il piano di tutela provvede al coordinamento degli obiettivi di qualità ambientale con i diversi obiettivi di qualità per specifica destinazione

7. Le regioni possono altresì definire obiettivi di qualità ambientale più elevati, nonché individuare ulteriori destinazioni dei corpi idrici e relativi obiettivi di qualità.

 

5. Individuazione e perseguimento dell'obiettivo di qualità ambientale

1. Entro il 31 dicembre 2001, sulla base dei dati già acquisiti e dei risultati del primo rilevamento effettuato ai sensi degli articoli 42 e 43 le regioni identificano per ciascun corpo idrico significativo, o parte di esso, la classe di qualità corrispondente ad una di quelle indicate nell’allegato 1.

2. In relazione alla classificazione di cui al comma 1, le regioni stabiliscono e adottano le misure necessarie al raggiungimento o al mantenimento degli obiettivi di qualità ambientale di cui all’articolo 4, comma 4, lettere a) e b), tenendo conto del carico massimo ammissibile ove fissato sulla base delle indicazioni dell’autorità di bacino di rilievo nazionale e interregionale per i corpi idrici sovraregionali, assicurando in ogni caso per tutti i corpi idrici l’adozione di misure atte ad impedire un ulteriore degrado.

3. Al fine di assicurare entro il 31 dicembre 2016 il raggiungimento dell’obiettivo di qualità ambientale corrispondente allo stato “buono”, entro il 31 dicembre 2008 ogni corpo idrico superficiale classificato o tratto di esso deve conseguire almeno i requisiti dello stato “sufficiente” di cui all’allegato 1.

4. Le regioni possono motivatamente stabilire termini diversi per i corpi idrici che presentano condizioni tali da non consentire il raggiungimento dello stato “buono” entro il 31 dicembre 2016.

5. Le regioni possono motivatamente stabilire obiettivi di qualità ambientale meno rigorosi per taluni corpi idrici, qualora ricorra almeno una delle seguenti condizioni:

a)   il corpo idrico ha subito gravi ripercussioni in conseguenza dell’attività umana che rendono manifestamente impossibile o economicamente insostenibile un significativo miglioramento dello stato qualitativo;

b)   il raggiungimento dell’obiettivo di qualità previsto non è perseguibile a causa della natura litologica ovvero geomorfologica del bacino di appartenenza;

c)   l’esistenza di circostanze impreviste o eccezionali, quali alluvioni e siccità.

6. Quando ricorrono le condizioni di cui al comma 5, la definizione di obiettivi meno rigorosi è consentita purché i medesimi non comportino l’ulteriore deterioramento dello stato del corpo idrico e, fatto salvo il caso di cui al comma 5, lettera b), non sia pregiudicato il raggiungimento degli obiettivi fissati dal presente decreto in altri corpi idrici all’interno dello stesso bacino idrografico.

7. Nei casi previsti dai commi 4 e 5, i piani di tutela devono comprendere le misure volte alla tutela del corpo idrico, ivi compresi i provvedimenti integrativi o restrittivi della disciplina degli scarichi ovvero degli usi delle acque. I tempi e gli obiettivi, nonché le relative misure, sono rivisti almeno ogni sei anni ed ogni eventuale modifica deve essere inserita come aggiornamento del piano.

 

6. Obiettivo di qualità per specifica destinazione

1. Sono acque a specifica destinazione funzionale:

a)   le acque dolci superficiali destinate alla produzione di acqua potabile;

b)   le acque destinate alla balneazione;

c)   le acque dolci che richiedono protezione e miglioramento per essere idonee alla vita dei pesci;

d)   le acque destinate alla vita dei molluschi.

2. Fermo restando quanto disposto dall’articolo 4, commi 4 e 5, per le acque indicate al comma 1, è perseguito, per ciascun uso, l’obiettivo di qualità per specifica destinazione stabilito nell’allegato 2, fatta eccezione per le acque di balneazione.

3. Le regioni, al fine di un costante miglioramento dell’ambiente idrico, stabiliscono programmi, che vengono recepiti nel piano di tutela, per mantenere, ovvero adeguare, la qualità delle acque di cui al comma 1 all’obiettivo di qualità per specifica destinazione. Relativamente alle acque di cui al comma 1 le regioni predispongono apposito elenco che provvedono ad aggiornare periodicamente.

 

Capo II - Acque a specifica destinazione

 

7. Acque superficiali destinate alla produzione di acqua potabile

1. Le acque dolci superficiali per essere utilizzate o destinate alla produzione di acqua potabile, sono classificate dalle regioni nelle categorie A1, A2 e A3 secondo le caratteristiche fisiche, chimiche e microbiologiche di cui alla tabella 1/A dell’allegato 2.

2. A seconda della categoria di appartenenza, le acque dolci superficiali di cui al comma 1 sono sottoposte ai seguenti trattamenti:

a)   Categoria A1: trattamento fisico semplice e disinfezione;

b)   Categoria A2: trattamento fisico e chimico normale e disinfezione;

c)   Categoria A3: trattamento fisico e chimico spinto, affinazione e disinfezione.

3. Le regioni inviano i dati relativi al monitoraggio e classificazione delle acque di cui ai commi 1 e 2 al Ministero della sanità, che provvede al successivo inoltro alla Commissione europea.

4. Le acque dolci superficiali che presentano caratteristiche fisiche, chimiche e microbiologiche qualitativamente inferiori ai valori limite imperativi della categoria A3 possono essere utilizzate, in via eccezionale, solo nel caso in cui non sia possibile ricorrere ad altre fonti di approvvigionamento e a condizione che le acque siano sottoposte ad opportuno trattamento che consenta di rispettare le norme di qualità delle acque destinate al consumo umano.

 

8. Deroghe

1. Per le acque superficiali destinate alla produzione di acqua potabile, le regioni possono derogare ai valori dei parametri di cui alla tabella 1/A dell’allegato 2:

a)   in caso di inondazioni o di catastrofi naturali;

b)   limitatamente ai parametri contraddistinti nell’Allegato 2 tabella 1/A dal simbolo (o) in caso di circostanze meteorologiche eccezionali o condizioni geografiche particolari;

c)   quando le acque superficiali si arricchiscono naturalmente di talune sostanze con superamento dei valori fissati per le categorie A1, A2 e A3;

d)   nel caso di laghi poco profondi e con acque quasi stagnanti, per i parametri indicati con un asterisco nell’Allegato 2, tabella 1/A, fermo restando che tale deroga è applicabile unicamente ai laghi aventi una profondità non superiore ai 20 metri, che per rinnovare le loro acque impieghino più di un anno e nel cui specchio non defluiscano acque di scarico.

2. Le deroghe di cui al comma 1 non sono ammesse se ne derivi concreto pericolo per la salute pubblica.

 

9. Acque di balneazione (omissis)

 

10. Acque dolci idonee alla vita dei pesci

1. Ai fini della designazione delle acque dolci che richiedono protezione o miglioramento per esser idonee alla vita dei pesci, sono privilegiati:

a)   i corsi d’acqua che attraversano il territorio di parchi nazionali e riserve naturali dello Stato, nonché di parchi e riserve naturali regionali;

b)   i laghi naturali ed artificiali, gli stagni ed altri corpi idrici, situati nei predetti ambiti territoriali;

c)   le acque dolci superficiali comprese nelle zone umide dichiarate “di importanza internazionale” ai sensi della convenzione di Ramsar del 2 febbraio 1971, resa esecutiva con il d.P.R. del 13 marzo 1976, n. 448, sulla protezione delle zone umide, nonché quelle comprese nelle “oasi di protezione della fauna”, istituite dalle regioni e province autonome ai sensi della legge 11 febbraio 1992, n. 157;

d)   le acque dolci superficiali che, ancorché non comprese nelle precedenti categorie, presentino un rilevante interesse scientifico, naturalistico, ambientale e produttivo in quanto costituenti habitat di specie animali o vegetali rare o in via di estinzione, ovvero in quanto sede di complessi ecosistemi acquatici meritevoli di conservazione o, altresì, sede di antiche e tradizionali forme di produzione ittica, che presentano un elevato grado di sostenibilità ecologica ed economica.

2. Sono escluse dall’applicazione del presente articolo e degli articoli 11, 12 e 13, le acque dolci superficiali dei bacini naturali o artificiali utilizzati per l’allevamento intensivo delle specie ittiche, nonché i canali artificiali adibiti a uso plurimo, di scolo o irriguo, e quelli appositamente costruiti per l’allontanamento dei liquami e di acque reflue industriali.

3. Le acque dolci superficiali che presentino valori dei parametri di qualità conformi con quelli imperativi previsti dalla tabella 1/B dell’allegato 2, sono classificate, entro quindici mesi dalla designazione, come acque dolci “salmonicole” o “ciprinicole”.

4. La designazione e la classificazione ai sensi dei commi 1 e 3 sono effettuate dalle regioni, ricorrendone le condizioni, devono essere gradualmente estese sino a coprire l’intero corpo idrico, ferma restando la possibilità di designare e classificare nell’ambito del medesimo, tratti come “acqua salmonicola” e tratti come “acqua ciprinicola”.

5. Qualora sia richiesto da eccezionali ed urgenti necessità di tutela della qualità delle acque, il Presidente della Giunta regionale o il Presidente della provincia, nell’ambito delle rispettive competenze, adottano provvedimenti specifici e motivati, integrativi o restrittivi degli scarichi ovvero degli usi delle acque.

 

11. Successive designazioni e revisioni

1. Le regioni sottopongono a revisione la designazione e la classificazione di alcune acque dolci idonee alla vita dei pesci in funzione di elementi imprevisti o sopravvenuti.

 

12. Accertamento della qualità delle acque idonee alla vita dei pesci (omissis)

 

13. Deroghe (omissis)

 

14. Acque destinate alla vita dei molluschi (omissis)

 

15. Accertamento della qualità delle acque idonee alla vita dei molluschi (omissis)

 

16. Deroghe (omissis)

 

17. Norme sanitarie (omissis)

 

Titolo III - Tutela dei corpi idrici e disciplina degli scarichi

 

Capo I - Aree richiedenti specifiche misure di prevenzione dall'inquinamento e di risanamento

 

18. Aree sensibili

1. Le aree sensibili sono individuate secondo i criteri dell’allegato 6.

2. Ai fini della prima individuazione sono designate aree sensibili:

a)   i laghi di cui all’allegato 6, nonché i corsi d’acqua ad essi afferenti per un tratto di 10 chilometri dalla linea di costa;

b)   le aree lagunari di Orbetello, Ravenna e Piallassa-Baiona, le Valli di Comacchio, i laghi salmastri e il delta del Po;

c)   le zone umide individuate ai sensi della convenzione di Ramsar del 2 febbraio 1971, resa esecutiva con d.P.R. 13 marzo 1976, n. 448;

d)   le aree costiere dell’Adriatico-Nord Occidentale dalla foce dell’Adige a Pesaro e i corsi d’acqua ad essi afferenti per un tratto di 10 chilometri dalla linea di costa;

e)   i corpi idrici ove si svolgono attività tradizionali di produzione ittica sostenibile che necessitano di tutela.

3. Resta fermo quanto disposto dalla legislazione vigente relativamente alla tutela di Venezia.

4. Sulla base dei criteri stabiliti nell’Allegato 6 e sentita l’Autorità di bacino, le regioni, entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto, possono designare ulteriori aree sensibili ovvero individuano all’interno delle aree indicate nel comma 2, i corpi idrici che non costituiscono aree sensibili.

5. Le regioni sulla base di criteri previsti dall’Allegato 6 delimitano i bacini drenanti nelle aree sensibili che contribuiscono all’inquinamento di tali aree.

6. Ogni quattro anni si provvede alla reidentificazione delle aree sensibili.

7. Le nuove aree sensibili identificate ai sensi dei commi 4 e 6 devono soddisfare i requisiti dell’articolo 32 entro sette anni dalla identificazione.

 

19. Zone vulnerabili da nitrati di origine agricola

1. Le zone vulnerabili sono individuate secondo i criteri di cui all’allegato 7/A-I.

2. Ai fini della prima individuazione sono designate zone vulnerabili le aree elencate nell’allegato 7/A-III.

3. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sulla base dei dati disponibili, e per quanto possibile sulla base delle indicazioni stabilite nell’allegato 7/A-I, le regioni, sentita l’Autorità di bacino, possono individuare ulteriori zone vulnerabili ovvero, all’interno delle zone indicate nell’allegato 7/A-III, le parti che non costituiscono zone vulnerabili.

4. Almeno ogni quattro anni le regioni, sentita l’Autorità di bacino, rivedono o completano le designazioni delle zone vulnerabili per tener conto dei cambiamenti e fattori imprevisti al momento della precedente designazione. A tal fine le regioni predispongono e attuano, ogni quattro anni, un programma di controllo per verificare le concentrazioni dei nitrati nelle acque dolci per il periodo di un anno, secondo le prescrizioni di cui all’allegato 7/A-I, nonché riesaminano lo stato eutrofico causato da azoto delle acque dolci superficiali, delle acque di transizione e delle acque marine costiere.

5. Nelle zone individuate ai sensi dei commi 2, 3 e 4 devono essere attuati i programmi di azione di cui al comma 6, nonché le prescrizioni contenute nel codice di buona pratica agricola di cui al decreto del Ministro per le politiche agricole in data 19.4.1999,  pubblicato nel S.O. alla G.U. n. 102 del 4.5.1999.

6. Entro un anno dall’entrata in vigore del presente decreto per le zone designate ai sensi dei commi 2 e 3 ed entro un anno dalla data di designazione per le ulteriori zone di cui al comma 4, le regioni, sulla base delle indicazioni e delle misure di cui all’allegato 7/A-IV, definiscono ovvero rivedono, se già posti in essere, programmi d’azione obbligatori per la tutela e il risanamento delle acque dall’inquinamento causato da nitrati di origine agricola, e provvedono alla loro attuazione nell’anno successivo per le zone vulnerabili di cui ai commi 2 e 3 e nei successivi quattro anni per le zone di cui al comma 4.

7. Le regioni provvedono, inoltre, a:

a)   integrare, se del caso, in relazione alle esigenze locali, il codice di buona pratica agricola, stabilendone le modalità di applicazione;

b)   predisporre ed attuare interventi di formazione e di informazione degli agricoltori sul programma di azione e sul codice di buona pratica agricola;

c)   elaborare ed applicare entro quattro anni a decorrere dalla definizione o revisione dei programmi di cui al comma 6, i necessari strumenti di controllo e verifica dell’efficacia dei programmi stessi sulla base dei risultati ottenuti; ove necessario, modificare o integrare tali programmi individuando, tra le ulteriori misure possibili, quelle maggiormente efficaci, tenuto conto dei costi di attuazione delle misure stesse.

8. Le variazioni apportate alle designazioni, i programmi di azione, i risultati delle verifiche dell’efficacia degli stessi e le revisioni effettuate devono essere  comunicati al Ministero dell’ambiente, secondo le modalità indicate nel decreto di cui all’articolo 3, comma 7. Al Ministero per le politiche agricole è data tempestiva notizia delle integrazioni apportate al codice di buona pratica agricola di cui al comma 7, lettera a) nonché degli interventi di formazione e informazione.

9. Al fine di garantire un generale livello di protezione delle acque il codice di buona pratica agricola è di raccomandata applicazione al di fuori delle zone vulnerabili.

 

20. Zone vulnerabili da prodotti fitosanitari e altre zone vulnerabili

1. Con le modalità previste dall’articolo 19 e sulla base delle indicazioni contenute nell’Allegato 7/B, le regioni identificano le aree di cui all’articolo 5, comma 21, del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 194, allo scopo di proteggere le risorse idriche o altri comparti ambientali dall’inquinamento derivante dall’uso di prodotti fitosanitari.

2. Le regioni e le autorità di bacino verificano la presenza nel territorio di competenza di aree soggette o minacciate da fenomeni di siccità, degrado del suolo e processi di desertificazione e le designano quali aree vulnerabili alla desertificazione.

3. Per le aree di cui al comma 2, nell’ambito della pianificazione di bacino e della sua attuazione, sono adottate specifiche misure di tutela, secondo i criteri previsti nel Piano d’Azione Nazionale di cui alla delibera CIPE del 22 dicembre 1998, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 39 del 17 febbraio 1999.

 

21. Modifiche al d.P.R. 24 maggio 1988, n. 236

1. L’articolo 4 del d.P.R. 24 maggio 1988, n. 236, è sostituito dal seguente: (omissis)

2. L’articolo 5 del d.P.R. 24 maggio 1988, n. 236, è sostituito dal seguente: (omissis)

3. L’articolo 6 del d.P.R. 24 maggio 1988, n. 236, è sostituito dal seguente: (omissis)

4. L’articolo 7 del d.P.R. 24 maggio 1988, n. 236, è sostituito dal seguente: (omissis)

 

Capo II - Tutela quantitativa della risorsa e risparmio idrico

 

22. Pianificazione del bacino idrico

1. La tutela quantitativa della risorsa concorre al raggiungimento degli obiettivi di qualità attraverso una pianificazione delle utilizzazioni delle acque volta ad evitare ripercussioni sulla qualità delle stesse e a consentire un consumo idrico sostenibile.

2. Nei piani di tutela sono adottate le misure volte ad assicurare l’equilibrio del bilancio idrico come definito dall’Autorità di bacino, nel rispetto delle priorità della legge 5 gennaio 1994, n. 36, e tenendo conto dei fabbisogni, delle disponibilità, del minimo deflusso vitale, della capacità di ravvenamento della falda e delle destinazioni d’uso della risorsa compatibili con le relative caratteristiche qualitative e quantitative.

3. Le autorità competenti al rilascio delle concessioni di derivazione ed alla vigilanza sulle stesse trasmettono alle autorità di bacino competenti ogni informazione utile in merito alla gestione della concessione evidenziando in particolare le effettive quantità derivate e le caratteristiche quantitative e qualitative delle acque eventualmente restituite. Le autorità di bacino provvedono a trasmettere i dati in proprio possesso all’Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente secondo le modalità di cui all’articolo 3 comma 7.

4. Il Ministro dei lavori pubblici provvede entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto a definire, di concerto con gli altri Ministri competenti e previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le provincie autonome di Trento e di Bolzano, le linee guida per la predisposizione del bilancio idrico di bacino, comprensive dei criteri per il censimento delle utilizzazioni in atto e per la definizione del minimo deflusso vitale.

5. Tutte le derivazioni di acqua comunque in atto alla data di entrata in vigore del presente decreto sono regolate dall’autorità concedente mediante la previsione di rilasci volti a garantire il minimo deflusso vitale nei corpi idrici come previsto dall’articolo 3, comma 1, lettera i), della legge 18 maggio 1989, n. 183, e dall’articolo 3, comma 3, della legge 5 gennaio 1994, n. 36, senza che ciò possa dar luogo alla corresponsione di indennizzi da parte della pubblica amministrazione, fatta salva la relativa riduzione del canone demaniale di concessione

6. Per le finalità di cui ai commi 1 e 2 le autorità concedenti, a seguito del censimento di tutte le utilizzazioni in atto nel medesimo corpo idrico provvedono, ove necessario, alla loro revisione, disponendo prescrizioni o limitazioni temporali o quantitative, senza che ciò possa dar luogo alla corresponsione di indennizzi da parte della pubblica amministrazione, fatta salva la relativa riduzione del canone demaniale di concessione.

 

23. Modifiche al R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775

1. Il secondo comma dell’articolo 7 del testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, introdotto dall’articolo 3 del decreto legislativo 12 luglio 1993, n. 275, è sostituito dal seguente: (omissis)

2. Il comma 1 dell’articolo 9 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, così come sostituito dall’articolo 4 del decreto legislativo 12 luglio 1993, n. 275, è sostituito dal seguente:  (omissis)

3. L’articolo 12-bis del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, introdotto dall’articolo 5 del decreto legislativo 12 luglio 1993, n. 275, è sostituito dal seguente: (omissis)

4. L’articolo 17 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775 è sostituito dal seguente: (omissis)

5. E’ soppresso il secondo comma dell’articolo 54 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775.

6. Fatta salva la normativa transitoria di attuazione dell’articolo 1 della legge 5 gennaio 1994, n. 36, per le derivazioni o utilizzazioni di acqua pubblica, in tutto o in parte abusivamente in atto alla data di entrata in vigore del presente decreto, la sanzione di cui all’articolo 17, del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, come modificato dal presente articolo, è ridotta ad un quinto qualora sia presentata domanda in sanatoria entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto. La concessione in sanatoria è rilasciata nel rispetto della legislazione vigente e delle utenze regolarmente assentite. In pendenza del procedimento istruttorio della domanda di concessione in sanatoria, l’utilizzazione può proseguire, fermo restando l’obbligo del pagamento del canone per l’uso effettuato e il potere dell’autorità concedente di sospendere in qualsiasi momento l’utilizzazione qualora in contrasto con i diritti di terzi o con il raggiungimento o il mantenimento degli obiettivi di qualità.

7. Il primo comma dell’articolo 21 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, come modificato dal comma 1 dell’articolo 29 della legge 5 gennaio 1994, n. 36, è sostituito dal seguente: (omissis)

8. Il comma 7 si applica anche alle concessioni di derivazione già concesse. Ove le stesse, per effetto del medesimo comma 7 risultino scadute, possono continuare ad essere esercitate sino alla data di scadenza originaria, purché venga presentata domanda di rinnovo entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fatta salva l’applicazione di quanto previsto all’articolo 22.

9. Dopo il terzo comma dell’articolo 21 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775 è inserito il seguente: (omissis)

 

24. Acque minerali naturali

1. Le concessioni di utilizzazione delle acque minerali naturali e delle acque di sorgente sono rilasciate tenuto conto delle esigenze di approvvigionamento e distribuzione delle acque potabili e delle previsioni del piano di tutela.

 

25. Risparmio idrico

1. Coloro che gestiscono o utilizzano la risorsa idrica adottano le misure necessarie all’eliminazione degli sprechi ed alla riduzione dei consumi e ad incrementare il riciclo ed il riutilizzo, anche mediante l’utilizzazione delle migliori tecniche disponibili.

2. Il comma 1 dell’articolo 5 della legge 5 gennaio 1994, n. 36, è sostituito dal seguente: (omissis)

3. All’articolo 5 della legge 5 gennaio 1994, n. 36 dopo il comma 1, è inserito il seguente: (omissis)

4. All’articolo 13, comma 3, della legge 5 gennaio 1994, n. 36, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: (omissis)

5. Le regioni, sentita le autorità di bacino, approvano specifiche norme sul risparmio idrico in agricoltura, basato sulla pianificazione degli usi, sulla corretta individuazione dei fabbisogni nel settore, e sui controlli degli effettivi emungimenti.

 

26. Riutilizzo dell'acqua

1. All’articolo 14 della legge 5 gennaio 1994, n. 36, dopo il comma 4, è, in fine, aggiunto il seguente: (omissis)

2. L’articolo 6 della legge 5 gennaio 1994, n.36, è sostituito dal seguente: (omissis)

3. Il decreto di cui all’articolo 6, comma 1, della legge 5 gennaio 1994, n. 36, come sostituito dal comma 2, è emanato entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto.

4. Con decreto del Ministro dei lavori pubblici, di concerto con i Ministri dell’ambiente e dell’industria, del commercio e dell’artigianato e d’intesa la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le provincie autonome di Trento e di Bolzano sono definite le modalità per l’applicazione della riduzione di canone prevista dall’articolo 18, comma 1, lettere a) e d), della legge 5 gennaio 1994, n. 36.

 

Capo III - Tutela qualitativa della risorsa: disciplina degli scarichi

 

27. Reti fognarie

1. Gli agglomerati devono essere provvisti di reti fognarie per le acque reflue urbane:

a)   entro il 31 dicembre 2000 per quelli con un numero di abitanti equivalenti superiore a 15.000;

b)   entro il 31 dicembre 2005 per quelli con un numero di abitanti equivalenti compreso tra 2.000 e 15.000.

2. Per le acque reflue urbane che si immettono in acque recipienti considerate “aree sensibili” gli agglomerati con oltre 10.000 abitanti equivalenti devono essere provvisti di rete fognaria.

3. La progettazione, la costruzione e la manutenzione delle reti fognarie si effettuano adottando le tecniche migliori che non comportino costi eccessivi, tenendo conto in particolare:

a)   del volume e delle caratteristiche delle acque reflue urbane;

b)   della prevenzione di eventuali fuoriuscite;

c)   della limitazione dell’inquinamento delle acque recipienti, dovuto a tracimazioni causate da piogge violente.

4. Per i nuclei abitativi isolati, ovvero laddove la realizzazione di una rete fognaria non sia giustificata o perché non presenterebbe vantaggi dal punto di vista ambientale o perché comporterebbe costi eccessivi, le regioni identificano sistemi individuali o altri sistemi pubblici e privati adeguati secondo i criteri di cui alla delibera indicata al comma 7 dell’articolo 62, che raggiungano lo stesso livello di protezione ambientale, indicando i tempi di adeguamento.

 

28. Criteri generali della disciplina degli scarichi

1. Tutti gli scarichi sono disciplinati in funzione del rispetto degli obiettivi di qualità dei corpi idrici e devono comunque rispettare i valori limite di emissione previsti nell’allegato 5.

2. Ai fini di cui al comma 1, le regioni, nell’esercizio della loro autonomia, tenendo conto dei carichi massimi ammissibili, delle migliori tecniche disponibili, definiscono i valori-limite di emissione, diversi da quelli di cui all’allegato 5, sia in concentrazione massima ammissibile sia in quantità massima per unità di tempo in ordine ad ogni sostanza inquinante e per gruppi o famiglie di sostanze affini. Per le sostanze indicate nelle tabelle 1, 2, 5 e 3/A dell’allegato 5, le regioni non possono stabilire valori limite meno restrittivi di quelli fissati nel medesimo allegato 5.

3. Gli scarichi devono essere resi accessibili per il campionamento da parte dell’autorità competente per il controllo nel punto assunto per la misurazione. La misurazione degli scarichi, salvo quanto previsto al comma 3 dell’articolo 34, si intende effettuata subito a monte del punto di immissione in tutte le acque superficiali e sotterranee, interne e marine, nonché in fognature, sul suolo e nel sottosuolo.

4. L’autorità competente per il controllo è autorizzata ad effettuare all’interno degli stabilimenti tutte le ispezioni che ritenga necessarie per l’accertamento delle condizioni che danno luogo alla formazione degli scarichi. Essa può richiedere che scarichi parziali contenenti le sostanze di cui ai numeri 2, 4, 5, 12, 15 e 16 della tabella 5 dell’allegato 5, subiscano un trattamento particolare prima della loro confluenza nello scarico generale.

5. I valori limite di emissione non possono in alcun caso essere conseguiti mediante diluizione con acque prelevate esclusivamente allo scopo. Non è comunque consentito diluire con acque di raffreddamento, di lavaggio o prelevate esclusivamente allo scopo gli scarichi parziali contenenti le sostanze indicate ai numeri 1, 2, 3, 5, 6, 7, 8, 9 e 10 della tabella 5 dell’allegato 5, prima del trattamento degli scarichi parziali stessi per adeguarli ai limiti previsti dal presente decreto. L’autorità competente, in sede di autorizzazione può prescrivere che lo scarico delle acque di raffreddamento, di lavaggio, ovvero impiegate per la produzione di energia, sia separato dallo scarico terminale di ciascun stabilimento.

6. Qualora le acque prelevate da un corpo idrico superficiale presentino parametri con valori superiori ai valori-limite di emissione, la disciplina dello scarico è fissata in base alla natura delle alterazioni e agli obiettivi di qualità del corpo idrico ricettore, fermo restando che le acque devono essere restituite con caratteristiche qualitative non peggiori di quelle prelevate e senza maggiorazioni di portata allo stesso corpo idrico dal quale sono state prelevate.

7. Salvo quanto previsto dall’articolo 38 e salva diversa normativa regionale, ai fini della disciplina degli scarichi e delle autorizzazioni, sono assimilate alle acque reflue domestiche quelle che presentano caratteristiche qualitative equivalenti, nonchè le acque reflue provenienti da:

a)   imprese dedite esclusivamente alla coltivazione del fondo o alla silvicoltura;

b)   imprese dedite ad allevamento di bestiame che dispongono di almeno un ettaro di terreno agricolo funzionalmente connesso con le attività di allevamento e di coltivazione del fondo, per ogni 340 chilogrammi di azoto presente negli effluenti di allevamento al netto delle perdite di stoccaggio e distribuzione;

c)   imprese dedite alle attività di cui ai punti a) e b) che esercitano anche attività di trasformazione o di valorizzazione della produzione agricola, inserita con carattere di normalità e complementarietà funzionale nel ciclo produttivo aziendale e con materia prima lavorata proveniente per almeno due terzi esclusivamente dall'attività di coltivazione dei fondi di cui si abbia a qualunque titolo la disponibilità;

d)   impianti di acquacoltura e di piscicoltura che diano luogo a scarico e si caratterizzino per una densità di allevamento pari o inferiore a 1 Kg per metro quadrato di specchio di acqua o in cui venga utilizzata una portata d’acqua pari o inferiore a 50 litri al minuto secondo.

8. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, e successivamente ogni due anni, le regioni trasmettono all’Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente le informazioni relative alla funzionalità dei depuratori, nonché allo smaltimento dei relativi fanghi, secondo le modalità indicate nel decreto di cui all’articolo 3, comma 7.

9. Al fine di assicurare la più ampia divulgazione delle informazioni sullo stato dell’ambiente le regioni pubblicano ogni due anni una relazione sulle attività di smaltimento delle acque reflue urbane nelle aree di loro competenza, secondo le modalità indicate nel decreto di cui all’articolo 3, comma 7.

10. Le autorità competenti possono promuovere e stipulare accordi e contratti di programma con i soggetti economici interessati, al fine di favorire il risparmio idrico, il riutilizzo delle acque di scarico ed il recupero come materia prima dei fanghi di depurazione, con la possibilità di ricorrere a strumenti economici, di stabilire agevolazioni in materia di adempimenti amministrativi e di fissare limiti agli scarichi in deroga alla disciplina generale, nel rispetto comunque delle norme comunitarie e delle misure necessarie al conseguimento degli obiettivi di qualità.

 

29. Scarichi sul suolo

1. E’ vietato lo scarico sul suolo o negli strati superficiali del sottosuolo fatta eccezione:

a)   per i casi previsti dall’articolo 27, comma 4;

b)   per gli scaricatori di piena a servizio delle reti fognarie;

c)   per gli scarichi di acque reflue urbane e industriali per i quali sia accertata l’impossibilità tecnica o l’eccessiva onerosità a fronte dei benefici ambientali conseguibili, a recapitare in corpi idrici superficiali, purché gli stessi siano conformi ai criteri ed ai valori-limite di emissione fissati a tal fine dalle regioni ai sensi dell’articolo 28, comma 2. Sino all’emanazione di nuove norme regionali si applicano i valori limite di emissione della tabella 4 dell’allegato 5;

d)   per gli scarichi di acque provenienti dalla lavorazione di rocce naturali nonché dagli impianti di lavaggio delle sostanze minerali, purché i relativi fanghi siano costituiti esclusivamente da acqua e inerti naturali e non comportino danneggiamento delle falde acquifere o instabilità dei suoli.

2. Al di fuori delle ipotesi previste al comma 1, gli scarichi sul suolo autorizzati prima della data di entrata in vigore del presente decreto in conformità alla normativa previgente devono, entro tre anni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, essere convogliati in corpi idrici superficiali, in reti fognarie ovvero destinati al riutilizzo in conformità alle prescrizioni fissate con il decreto di cui all’articolo 6, comma 1, della legge 5 gennaio 1994, n. 36, così come sostituito dall’articolo 26, comma 2. In caso di mancata ottemperanza agli obblighi indicati, l’autorizzazione allo scarico si considera a tutti gli effetti revocata.

3. Gli scarichi di cui alla lettera c) del comma 1, autorizzati prima della data di entrata in vigore del presente decreto, devono conformarsi ai limiti della tabella 4 dell’allegato 5 entro tre anni dalla data di entrata in vigore del presente decreto. Sino a tale data devono essere rispettati i limiti della tabella 3 dell’allegato 5 ovvero, se più restrittivi, i limiti fissati dalle normative regionali vigenti. Resta comunque fermo il divieto di scarico sul suolo delle sostanze indicate al punto 2.1 dell’allegato 5.

 

30. Scarichi nel sottosuolo e nelle acque sotterranee

1. E’ vietato lo scarico diretto nelle acque sotterranee e nel sottosuolo.

2. In deroga a quanto previsto al comma 1 l’autorità competente, dopo indagine preventiva, può autorizzare gli scarichi nella stessa falda delle acque utilizzate per scopi geotermici, delle acque di infiltrazione di miniere o cave o delle acque pompate nel corso di determinati lavori di ingegneria civile, ivi comprese quelle degli impianti di scambio termico.

3. In deroga a quanto previsto dal comma 1 il Ministero dell’ambiente per i giacimenti a mare e le regioni per i giacimenti a terra possono altresì autorizzare lo scarico di acque risultanti dall’estrazione di idrocarburi nelle unità geologiche profonde da cui gli stessi idrocarburi sono stati estratti ovvero in unità dotate delle stesse caratteristiche, che contengano o abbiano contenuto idrocarburi, indicando le modalità dello scarico. Lo scarico non deve contenere altre acque di scarico o altre sostanze pericolose diverse, per qualità e quantità, da quelle derivanti dalla separazione degli idrocarburi. Le relative autorizzazioni sono rilasciate con la prescrizione delle precauzioni tecniche necessarie a garantire che le acque di scarico non possano raggiungere altri sistemi idrici o nuocere ad altri ecosistemi.

4. Per le perforazioni in mare con le quali è svolta attività di prospezione, ricerca e coltivazione di giacimenti di idrocarburi liquidi o gassosi, lo scarico delle acque diretto in mare avviene secondo le modalità previste dal decreto del Ministro dell’ambiente in data 28 luglio 1994, pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 190 del 16 agosto 1994, e successive modifiche, purché la concentrazione di idrocarburi sia inferiore a 40 mg/l. Lo scarico diretto a mare é progressivamente sostituito dalla iniezione o reiniezione in unità geologiche profonde, non appena disponibili pozzi non più produttivi, e deve avvenire comunque nel rispetto di quanto previsto ai commi 2 e 3.

5. Lo scarico diretto in mare delle acque di cui al comma 4, è autorizzato previa presentazione di un piano di monitoraggio volto a verificare l’assenza di pericoli per le acque e per gli ecosistemi acquatici.

6. Al di fuori delle ipotesi previste dai commi 2, 3, 4 e 5, gli scarichi nel sottosuolo e nelle acque sotterranee, esistenti e debitamente autorizzati alla data di entrata in vigore del presente decreto, devono essere convogliati in corpi idrici superficiali ovvero destinati, ove possibile, al riciclo, al riutilizzo o all’utilizzazione agronomica entro tre anni dalla data di entrata in vigore del presente decreto. In caso di mancata ottemperanza agli obblighi indicati, l’autorizzazione allo scarico è a tutti gli effetti revocata.

 

31. Scarichi in acque superficiali

1. Gli scarichi di acque reflue industriali in acque superficiali devono rispettare i valori-limite di emissione fissati ai sensi dell’articolo 28, commi 1 e 2, in funzione del perseguimento degli obiettivi di qualità.

2. Gli scarichi di acque reflue urbane che confluiscono nelle reti fognarie, provenienti da agglomerati con meno di 2.000 abitanti equivalenti e recapitanti in acque dolci ed in acque di transizione e gli scarichi provenienti da agglomerati con meno di 10.000 abitanti equivalenti, recapitanti in acque marino-costiere, sono sottoposti ad un trattamento appropriato, in conformità con le indicazioni dell’allegato 5, entro il 31 dicembre 2005.

3. Le acque reflue urbane devono essere sottoposte, prima dello scarico, ad un trattamento secondario o ad un trattamento equivalente in conformità con le indicazioni dell’allegato 5 e secondo le seguenti cadenze temporali:

a)   entro il 31 dicembre 2000 per gli scarichi provenienti da agglomerati con oltre 15.000 abitanti equivalenti;

b)   entro il 31 dicembre 2005 per gli scarichi provenienti da agglomerati con un numero di abitanti equivalenti compreso tra 10.000 e 15.000;

c)   entro il 31 dicembre 2005 per gli scarichi in acque dolci ed in acque di transizione, provenienti da agglomerati con un numero di abitanti equivalenti compreso tra 2.000 e 10.000.

4. Gli scarichi previsti al commi 2 e 3 devono rispettare, altresì, i valori-limite di emissione fissati ai sensi dell’articolo 28, commi 1 e 2.

5. Le regioni dettano specifica disciplina per gli scarichi di reti fognarie provenienti da agglomerati a forte fluttuazione stagionale degli abitanti, tenuto conto di quanto disposto ai commi 2 e 3 e fermo restando il conseguimento degli obiettivi di qualità.

6. Gli scarichi di acque reflue urbane in acque situate in zone d’alta montagna, al di sopra dei 1.500 metri sul livello del mare, dove a causa delle basse temperature è difficile effettuare un trattamento biologico efficace, possono essere sottoposti ad un trattamento meno spinto di quello previsto al comma 3, purché studi dettagliati comprovino che essi non avranno ripercussioni negative sull’ambiente.

 

32. Scarichi di acque reflue urbane in corpi idrici ricadenti in aree sensibili

1. Ferme restando le disposizioni dell’articolo 28, commi 1 e 2, le acque reflue urbane provenienti da agglomerati con oltre 10.000 abitanti equivalenti, che scaricano in acque recipienti individuate quali aree sensibili, devono essere sottoposte ad un trattamento più spinto di quello previsto dall’articolo 31, comma 3, secondo i requisiti specifici indicati nell’allegato 5.

2. Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano nelle aree sensibili in cui può essere dimostrato che la percentuale minima di riduzione del carico complessivo in ingresso a tutti gli impianti di trattamento delle acque reflue urbane è pari almeno al 75% per il fosforo totale ovvero per almeno il 75% per l’azoto totale.

3. Le regioni individuano tra gli scarichi provenienti dagli impianti di trattamento delle acque reflue urbane situati all’interno dei bacini drenanti afferenti alle aree sensibili, quelli che, contribuendo all’inquinamento di tali aree, sono da assoggettare al trattamento di cui ai commi 1 e 2 in funzione del raggiungimento dell’obiettivo di qualità dei corpi idrici ricettori.

 

33. Scarichi in reti fognarie

1. Ferma restando l’inderogabilità dei valori-limite di emissione per le sostanze della tabella 5 dell’allegato 5, gli scarichi di acque reflue industriali che recapitano in reti fognarie sono sottoposti alle norme tecniche, alle prescrizioni regolamentari ed ai valori-limite di emissione emanati dai gestori dell’impianto di depurazione delle acque reflue urbane in conformità ai criteri emanati dall’autorità d’ambito, in base alla caratteristiche dell’impianto ed in modo che sia assicurato il rispetto della disciplina degli scarichi di acque reflue urbane definita ai sensi dell’articolo 28, commi 1 e 2.

2. Gli scarichi di acque reflue domestiche che recapitano in reti fognarie sono sempre ammessi purché osservino i regolamenti emanati dal gestore dell’impianto di depurazione delle acque reflue urbane.

 

34. Scarichi di sostanze pericolose

1. Tenendo conto della tossicità, della persistenza e della bioaccumulazione della sostanza considerata nell’ambiente in cui è effettuato lo scarico, l’autorità competente in sede di rilascio dell’autorizzazione può fissare, in particolari situazioni di accertato pericolo per l’ambiente anche per la compresenza di altri scarichi di sostanze pericolose, valori-limite di emissione più restrittivi di quelli fissati ai sensi dell’articolo 28, commi 1 e 2.

2. Per le sostanze indicate ai numeri 2, 4, 5, 12, 15 e 16 della tabella 5 dell’allegato 5, le autorizzazioni stabiliscono altresì la quantità massima della sostanza espressa in unità di peso per unità di elemento caratteristico dell’attività inquinante e cioè per materia prima o per unità di prodotto, in conformità con quanto indicato nella stessa tabella.

3. Per le acque di processo contenenti le sostanze delle tabelle 3/A e 5 dell’allegato 5, il punto di misurazione dello scarico si intende fissato subito dopo l’uscita dallo stabilimento o dall’impianto di trattamento che serve lo stabilimento medesimo. L’autorità competente può richiedere che tali scarichi parziali siano tenuti separati dallo scarico generale e trattati come rifiuti, ai sensi del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modifiche e integrazioni.

4. L’autorità che rilascia l’autorizzazione per le sostanze della tabella 3/A dell’allegato 5, redige un elenco delle autorizzazioni rilasciate, degli scarichi e dei controlli effettuati, ai fini del successivo inoltro alla Commissione europea.

 

Capo IV - Ulteriori misure per la tutela dei corpi idrici

 

35. Immersione in mare di materiale derivante da attività di escavo e di posa in mare di cavi e condotte (omissis)

 

36. Autorizzazione al trattamento di rifiuti costituiti da acque reflue

1.Salvo quanto previsto ai commi 2 e 3 è vietato l’utilizzo degli impianti di trattamento di acque urbane per lo smaltimento di rifiuti.

2. In deroga al comma 1, la competente autorità in relazione a particolari esigenze e nei limiti della capacità residua di trattamento può autorizzare il gestore di impianti di trattamento di acque reflue allo smaltimento di rifiuti liquidi limitatamente alle tipologie compatibili con il processo di depurazione.

3. Il gestore del servizio idrico integrato è, comunque, autorizzato ad accettare rifiuti costituiti da acque reflue negli impianti di trattamento di cui al comma 1 purché:

a)   gli impianti abbiano caratteristiche e capacità depurativa adeguata e rispettino comunque i valori limite di cui all’articolo 28, commi 1 e 2;

b)   rispettino i valori limite stabiliti per lo scarico in fognatura;

c)   provengano da scarichi, di acque reflue domestiche o industriali, prodotti nel medesimo ambito territoriale ottimale di cui alla legge 5 gennaio 1994, n. 36.

4. Allo smaltimento dei rifiuti costituiti da acque reflue, di cui al presente articolo, si applica la tariffa prevista per il servizio di depurazione di cui all’articolo 14 della legge 5 gennaio 1994, n. 36.

5. Il produttore ed il trasportatore di rifiuti costituiti da acque reflue sono tenuti al rispetto della normativa in materia di rifiuti del decreto legislativo del 5 febbraio 1997, n. 22 e successive modifiche ed integrazioni. Il gestore dell’impianto di trattamento di rifiuti, costituiti da acque reflue è soggetto agli obblighi di cui all’articolo 12 del decreto legislativo del 5 febbraio 1997, n. 22.

 

37 Impianti di acquacoltura e piscicoltura

1. Con decreto del Ministro dell’ambiente, di concerto con i Ministri per le politiche agricole, dei lavori pubblici, dell’industria, del commercio e dell’artigianato, della sanità e, previa intesa con Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le provincie autonome di Trento e di Bolzano, sono individuati i criteri relativi al contenimento dell’impatto sull’ambiente derivante dalle attività di acquacoltura e di piscicoltura.

 

38. Utilizzazione agronomica

1. L’applicazione al terreno degli effluenti di allevamento zootecnico è soggetta a comunicazione da effettuare almeno trenta giorni prima dell’inizio di tali attività alle autorità competenti che, nel medesimo termine, possono dare le opportune prescrizioni.

2. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 19, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto il Ministro per le politiche agricole, con proprio decreto, di concerto con i Ministri dell’ambiente, dell’industria, del commercio e dell’artigianato, della sanità e dei lavori pubblici, di intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, stabilisce le modalità per la comunicazione, i criteri per il controllo, le norme tecniche per l’utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento, delle acque di vegetazione dei frantoi oleari, sulla base di quanto previsto dalla legge 11 novembre 1996, n. 574, e delle acque reflue provenienti da allevamenti ittici e da aziende agricole e agroalimentari. anche ai fini delle eventuali prescrizioni di cui al comma 1.

3. Salvo diversa disciplina regionale, il comune ordina la sospensione dell’attività di cui al comma 1 nel caso di mancata comunicazione o mancato rispetto delle norme tecniche e delle prescrizioni impartite.

 

39. Acque di prima pioggia e di lavaggio di aree esterne

1. Le regioni disciplinano i casi in cui può essere richiesto, che le acque di prima pioggia e di lavaggio delle aree esterne non recapitanti in reti fognarie siano convogliate e opportunamente trattate in impianti di depurazione per particolari stabilimenti nei quali vi sia il rischio di deposizione di sostanze pericolose sulle superfici impermeabili scoperte.

 

40. Dighe

1. Le regioni adottano apposita disciplina in materia di restituzione delle acque utilizzate per la produzione idroelettrica, per scopi irrigui e in impianti di potabilizzazione, nonché delle acque derivanti da sondaggi o perforazioni diversi da quelli relativi alla ricerca ed estrazione di idrocarburi, al fine di garantire il mantenimento o il raggiungimento degli obiettivi di qualità di cui al Titolo II.

2. Al fine di assicurare il mantenimento della capacità di invaso e la salvaguardia sia della qualità dell’acqua invasata, sia del corpo recettore, le operazioni di svaso, sghiaiamento e sfangamento delle dighe sono effettuate sulla base di un progetto di gestione di ciascun impianto. Il progetto di gestione è finalizzato a definire sia il quadro previsionale di dette operazioni connesse con le attività di manutenzione da eseguire sull’impianto sia le misure di prevenzione e tutela del corpo ricettore, dell’ecosistema acquatico, delle attività di pesca e delle risorse idriche invasate e rilasciate a valle dello sbarramento durante le operazioni stesse.

3. Il progetto di gestione individua altresì eventuali modalità di manovra degli organi di scarico, anche al fine di assicurare la tutela del corpo ricettore. Restano valide in ogni caso le disposizioni fissate tal d.P.R. 1° novembre 1959, n. 1363, volte a garantire la sicurezza di persone e cose.

4. Il progetto di gestione di cui al comma 2, è predisposto dal gestore sulla base dei criteri fissati con decreto del Ministro dei lavori pubblici e del Ministro dell’ambiente di concerto con i Ministri dell’industria del commercio e dell’artigianato, per le politiche agricole e il Ministro delegato della Protezione Civile, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, da emanarsi entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto.

5. Il progetto di gestione è approvato dalle regioni, con eventuali prescrizioni, entro sei mesi dalla sua presentazione, sentiti, ove necessario, gli enti gestori delle aree protette direttamente interessate; è trasmesso al Registro italiano dighe per l’inserimento come parte integrante del foglio condizioni per l’esercizio e la manutenzione di cui all’articolo 6 del d.P.R. 1° novembre 1959, n.1363, e relative disposizioni di attuazione. Il progetto di gestione si intende approvato e diviene operativo trascorsi sei mesi dalla data di presentazione senza che sia intervenuta alcuna pronuncia da parte della regione competente, fermo restando il potere di tali enti di dettare eventuali prescrizioni, anche trascorso tale termine.

6. Con l’approvazione del progetto il gestore è autorizzato ad eseguire le operazioni di svaso, sghiaiamento e sfangamento in conformità ai limiti indicati nel progetto stesso e alle relative prescrizioni.

7. Nella definizione dei canoni di concessione di inerti ai sensi dell’articolo 89, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, le amministrazioni determinano specifiche modalità ed importi per favorire lo sghiaiamento e sfangamento degli invasi per asporto meccanico.

8. I gestori degli invasi esistenti sono tenuti a presentare il progetto di cui al comma 2 entro sei mesi dall’emanazione del decreto di cui al comma 4. Fino all’approvazione o alla operatività del progetto di gestione, e comunque non oltre dodici mesi dalla data di entrata in vigore del decreto di cui al comma 4, le operazioni periodiche di manovre prescritte ai sensi dell’articolo 17 del d.P.R. 1° novembre 1959, n. 1363, volte a controllare la funzionalità degli organi di scarico, sono svolte in conformità ai fogli di condizione per l’esercizio e la manutenzione.

9. Le operazioni di svaso, sghiaiamento e sfangamento degli invasi non devono pregiudicare gli usi in atto a valle dell’invaso, né il rispetto degli obiettivi di qualità ambientale e degli obiettivi di qualità per specifica destinazione.

 

41. Tutela delle aree di pertinenza dei corpi idrici

1. Ferme restando le disposizioni di cui al Capo VII del regio decreto 25 luglio 1904, n. 523, al fine di assicurare il mantenimento o il ripristino della vegetazione spontanea nella fascia immediatamente adiacente i corpi idrici, con funzioni di filtro per i solidi sospesi e gli inquinanti di origine diffusa, di stabilizzazione delle sponde e di conservazione della biodiversità da contemperarsi con le esigenze di funzionalità dell’alveo, entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto, le regioni disciplinano gli interventi di trasformazione e di gestione del suolo e del soprassuolo previsti nella fascia di almeno 10 metri dalla sponda di fiumi, laghi, stagni e lagune comunque vietando la copertura dei corsi d’acqua, che non sia imposta da ragioni di tutela della pubblica incolumità e la realizzazione di impianti di smaltimento dei rifiuti.

2. Gli interventi di cui al comma 1 sono comunque soggetti all’autorizzazione prevista dal regio decreto 25 luglio 1904, n. 523, salvo quanto previsto per gli interventi a salvaguardia della pubblica incolumità.

3. Per garantire le finalità di cui al comma 1, le aree demaniali dei fiumi, dei torrenti, dei laghi e delle altre acque possono essere date in concessione allo scopo di destinarle a riserve naturali, a parchi fluviali o lacuali o comunque a interventi di ripristino e recupero ambientale. Qualora le aree demaniali siano già comprese in aree naturali protette statali o regionali inserite nell’elenco ufficiale di cui all’articolo 3, comma 4, lettera c), della legge 6 dicembre 1991, n. 394, la concessione è gratuita.

4. Le aree del demanio fluviale di nuova formazione ai sensi della legge 5 gennaio 1994, n. 37, non possono essere oggetto di sdemanializzazione.

 

Titolo IV - Strumenti di tutela

 

Capo I - Piani di tutela delle acque

 

42. Rilevamento delle caratteristiche del bacino idrografico e analisi dell’impatto esercitato dall’attività antropica

1. Al fine di garantire l’acquisizione delle informazioni necessarie alla redazione del piano di tutela, le regioni provvedono ad elaborare programmi di rilevamento dei dati utili a descrivere le caratteristiche del bacino idrografico e a valutare l’impatto antropico esercitato sul medesimo.

2. I programmi di cui al comma 1 sono adottati in conformità alle indicazioni di cui all’allegato 3 e sono resi operativi entro il 31 dicembre 2000 e sono aggiornati ogni sei anni.

3. Nell’espletamento dell’attività conoscitiva di cui al comma 1, le amministrazioni sono tenute ad utilizzare i dati e le informazioni già acquisite, con particolare riguardo a quelle preordinate alla redazione dei piani di risanamento delle acque di cui alla legge 10 maggio 1976, n. 319, nonché a quelle previste dalla legge 18 maggio 1989, n. 183.

 

43. Rilevamento dello stato di qualità dei corpi idrici

1. Le regioni elaborano programmi per la conoscenza e la verifica dello stato qualitativo e quantitativo delle acque superficiali e sotterranee all’interno di ciascun bacino idrografico.

2. I programmi di cui al comma 1 sono adottati in conformità alle indicazioni di cui all’allegato 1 e resi operativi entro il 31 dicembre 2000. Tali programmi devono essere integrati con quelli già esistenti per gli obiettivi a specifica destinazione stabiliti in conformità all’allegato 2.

3. Al fine di evitare sovrapposizioni e di garantire il flusso delle informazioni raccolte e la loro compatibilità con il Sistema informativo nazionale dell’ambiente, nell’esercizio delle rispettive competenze, le regioni possono promuovere accordi di programma con le strutture definite ai sensi dell’articolo 92 del decreto legislativo del 31 marzo 1998 n. 112, con l’Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente, le agenzie regionali e provinciali dell’ambiente, le province, le autorità d’ambito, i consorzi di bonifica e gli altri enti pubblici interessati. Nei programmi devono essere definite altresì le modalità di standardizzazione dei dati e di interscambio delle informazioni.

 

44. Piani di tutela delle acque

1. Il piano di tutela delle acque costituisce un piano stralcio di settore del piano di bacino ai sensi dell’articolo 17, comma 6-ter, della legge 18 maggio 1989, n. 183, ed è articolato secondo le specifiche indicate nell’allegato 4.

2. Entro il 31 dicembre 2001 le autorità di bacino di rilievo nazionale ed interregionale, sentite le province e le autorità d’ambito, definiscono gli obiettivi su scala di bacino, cui devono attenersi i piani di tutela delle acque, nonché le priorità degli interventi. Entro il 31 dicembre 2003, le regioni, sentite le province, previa adozione delle eventuali misure di salvaguardia, adottano il piano di tutela delle acque e lo trasmettono alle competenti autorità di bacino.

3. Il piano di tutela contiene, oltre agli interventi volti a garantire il raggiungimento o il mantenimento degli obiettivi di cui al presente decreto, le misure necessarie alla tutela qualitativa e quantitativa del sistema idrico.

4. A tal fine il piano di tutela contiene in particolare:

a)   i risultati dell’attività conoscitiva;

b)   l’individuazione degli obiettivi di qualità ambientale e per specifica destinazione;

c)   l’elenco dei corpi idrici a specifica destinazione e delle aree richiedenti specifiche misure di prevenzione dall’inquinamento e di risanamento;

d)   le misure di tutela qualitative e quantitative tra loro integrate e coordinate per bacino idrografico;

e)   l’indicazione della cadenza temporale degli interventi e delle relative priorità;

f)    il programma di verifica dell’efficacia degli interventi previsti;

g)   gli interventi di bonifica dei corpi idrici.

5. Entro 90 giorni dalla trasmissione del piano di cui al comma 2 le autorità di bacino nazionali o interregionali verificano la conformità del piano agli obiettivi e alle priorità del comma 2 esprimendo parere vincolante. Il piano di tutela è approvato dalle regioni entro i successivi sei mesi e comunque non oltre il 31 dicembre 2004.

6. Per i bacini regionali le regioni approvano il piano entro sei mesi dall’adozione e comunque non oltre il 31 dicembre 2004.

 

Capo II - Autorizzazione agli scarichi

 

45. Criteri generali

1. Tutti gli scarichi devono essere preventivamente autorizzati.

2. L’autorizzazione è rilasciata al titolare dell’attività da cui origina lo scarico. Ove tra più stabilimenti sia costituito un consorzio per l’effettuazione in comune dello scarico delle acque reflue provenienti dalle attività dei consorziati, l’autorizzazione è rilasciata in capo al consorzio medesimo, ferme restando le responsabilità dei singoli consorziati e del gestore del relativo impianto di depurazione in caso di violazione delle disposizioni del presente decreto. Si applica l’articolo 62, comma 11, secondo periodo, del presente decreto.

3. Il regime autorizzatorio degli scarichi di acque reflue domestiche e di reti fognarie, servite o meno da impianti di depurazione delle acque reflue urbane, è definito dalle regioni nell’ambito della disciplina di cui all’articolo 28, commi 1 e 2.

4. In deroga al comma 1 gli scarichi di acque reflue domestiche in reti fognarie sono sempre ammessi nell’osservanza dei regolamenti fissati dal gestore del servizio idrico integrato. Per gli insediamenti le cui acque reflue non recapitano in reti fognarie il rilascio della concessione edilizia è comprensiva dell’autorizzazione dello scarico.

5. Le regioni disciplinano le fasi di autorizzazione provvisoria agli scarichi degli impianti di depurazione delle acque reflue per il tempo necessario al loro avvio.

6. Salvo diversa disciplina regionale, la domanda di autorizzazione è presentata alla provincia ovvero al comune se lo scarico è in pubblica fognatura. L’autorità competente provvede entro novanta giorni dalla recezione della domanda.

7. L’autorizzazione è valida per quattro anni dal momento del rilascio. Un anno prima della scadenza ne deve essere richiesto il rinnovo. Lo scarico può essere provvisoriamente mantenuto in funzione nel rispetto delle prescrizioni contenute nella precedente autorizzazione, fino all’adozione di un nuovo provvedimento, se la domanda di rinnovo è stata tempestivamente presentata. Per gli scarichi contenenti sostanze pericolose di cui all’articolo 34, il rinnovo deve essere concesso in modo espresso entro e non oltre sei mesi dalla data di scadenza; trascorso inutilmente tale termine, lo scarico dovrà cessare immediatamente. La disciplina regionale di cui al comma 3 può prevedere per specifiche tipologie di scarichi di acque reflue domestiche, ove soggetti ad autorizzazione, forme di rinnovo tacito della medesima.

8. Per gli scarichi in un corso d’acqua che ha portata naturale nulla per oltre 120 giorni ovvero in un corpo idrico non significativo, l’autorizzazione tiene conto del periodo di portata nulla e della capacità di diluizione del corpo idrico e stabilisce prescrizioni e limiti al fine di garantire le capacità autodepurative del corpo ricettore e la difesa delle acque sotterranee.

9. In relazione alle caratteristiche tecniche dello scarico, alla sua localizzazione e alle condizioni locali dell’ambiente interessato, l’autorizzazione contiene le ulteriori prescrizioni tecniche volte a garantire che gli scarichi, ivi comprese le operazioni ad esso funzionalmente connesse, siano effettuati in conformità alle disposizioni del presente decreto e senza pregiudizio per il corpo ricettore, per la salute pubblica e l’ambiente.

10. Le spese occorrenti per effettuare i rilievi, gli accertamenti, i controlli e i sopralluoghi necessari per l’istruttoria delle domande d’autorizzazione previste dal presente decreto sono a carico del richiedente. L’autorità competente determina, in via provvisoria, la somma che il richiedente è tenuto a versare, a titolo di deposito, quale condizione di procedibilità della domanda. L’autorità stessa, completata l’istruttoria, provvede alla liquidazione definitiva delle spese sostenute.

11. Per gli insediamenti soggetti a diversa destinazione, ad ampliamento, a ristrutturazione o la cui attività sia trasferita in altro luogo deve essere richiesta una nuova autorizzazione allo scarico, ove prevista.

 

46. Domanda di autorizzazione agli scarichi di acque reflue industriali

1. La domanda di autorizzazione agli scarichi di acque reflue industriali deve essere accompagnata dall’indicazione delle caratteristiche quantitative e qualitative dello scarico, della quantità di acqua da prelevare nell’anno solare, del corpo ricettore e del punto previsto per il prelievo al fine del controllo, dalla descrizione del sistema complessivo di scarico, ivi comprese le operazioni ad esso funzionalmente connesse, dall’eventuale sistema di misurazione del flusso degli scarichi, ove richiesto, dalla indicazione dei mezzi tecnici impiegati nel processo produttivo e nei sistemi di scarico, nonchè dall’indicazione dei sistemi di depurazione utilizzati per conseguire il rispetto dei valori limite di emissione.

2. Nel caso di scarichi di sostanze di cui alla tabella 3/A dell’allegato 5, la domanda di cui al comma 1 deve altresì indicare:

a)   la capacità di produzione del singolo stabilimento industriale che comporta la produzione ovvero la trasformazione ovvero l’utilizzazione delle sostanze di cui alla medesima tabella, ovvero la presenza di tali sostanze nello scarico. La capacità di produzione deve essere indicata con riferimento alla massima capacità oraria moltiplicata per il numero massimo di ore lavorative giornaliere e per il numero massimo di giorni lavorativi;

b)   il fabbisogno orario di acque per ogni specifico processo produttivo.

 

47. Approvazione degli impianti di trattamento delle acque reflue urbane

1. Salve le disposizioni in materia di valutazione di impatto ambientale, le regioni disciplinano le modalità di approvazione dei progetti degli impianti di depurazione di acque reflue urbane che tengono conto dei criteri di cui all’allegato 5 e della corrispondenza tra la capacità dell’impianto e le esigenze delle aree asservite, nonché delle modalità delle gestioni che devono assicurare il rispetto dei valori limite degli scarichi, e definiscono le relative fasi di autorizzazione provvisoria necessaria all’avvio dell’impianto ovvero in caso di realizzazione per lotti funzionali.

 

48. Fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue

1. Ferma restando la disciplina di cui al decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99, e successive modifiche, i fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue sono sottoposti alla disciplina dei rifiuti. I fanghi devono essere riutilizzati ogni qualvolta ciò risulti appropriato.

2. E’ comunque vietato lo smaltimento dei fanghi nelle acque superficiali dolci e salmastre.

3. Lo smaltimento dei fanghi nelle acque marine mediante immersione da nave, scarico attraverso condotte ovvero altri mezzi è autorizzato ai sensi dell’articolo 18, comma 2, lettera p-bis) del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 e deve comunque cessare entro il 2003. Fino a tale data le quantità totali di materie tossiche, persistenti ovvero bioaccumulabili, devono essere progressivamente ridotte. In ogni caso le modalità di smaltimento devono rendere minimo l’impatto negativo sull’ambiente.

 

Capo III - Controllo degli scarichi

 

49. Soggetti tenuti al controllo

1. L’autorità competente effettua il controllo degli scarichi sulla base di un programma che assicuri un periodico, diffuso, effettivo ed imparziale sistema di controlli preventivi e successivi.

2. Fermo restando quanto stabilito al comma 1, per gli scarichi in pubblica fognatura l’ente gestore, ai sensi dell’articolo 26 della legge 5 gennaio 1994, n. 36, organizza un adeguato servizio di controllo secondo le modalità previste nella convenzione di gestione.

 

50. Accessi ed ispezioni

1. Il soggetto incaricato del controllo è autorizzato a effettuare le ispezioni, i controlli e i prelievi necessari all’accertamento del rispetto dei valori limite di emissione, delle prescrizioni contenute nei provvedimenti autorizzatori o regolamentari e delle condizioni che danno luogo alla formazione degli scarichi. Il titolare dello scarico è tenuto a fornire le informazioni richieste e a consentire l’accesso ai luoghi dai quali origina lo scarico.

 

51. Inosservanza delle prescrizioni dell’autorizzazione allo scarico

1. Ferma restando l’applicazione delle norme sanzionatorie di cui al Titolo V, in caso di inosservanza delle prescrizioni dell’autorizzazione allo scarico, l’autorità competente al controllo procede, secondo la gravità dell’infrazione:

a)   alla diffida, stabilendo un termine entro il quale devono essere eliminate le irregolarità;

b)   alla diffida e contestuale sospensione dell’autorizzazione per un tempo determinato, ove si manifestano situazioni di pericolo per la salute pubblica e per l’ambiente;

c)   alla revoca dell’autorizzazione in caso di mancato adeguamento alle prescrizioni imposte con la diffida e in caso di reiterate violazioni che determinano situazione di pericolo per la salute pubblica e per l’ambiente.

 

52. Controllo degli scarichi di sostanze pericolose

1. Per gli scarichi contenenti le sostanze di cui alla tabella 3/A e alla tabella 5 dell’allegato 5 l’autorità competente nel rilasciare l’autorizzazione può prescrivere, a carico del titolare, l’installazione di strumenti di controllo in automatico, nonché le modalità di gestione degli stessi e di conservazione dei relativi risultati, che devono rimanere a disposizione dell’autorità competente al controllo per un periodo non inferiore a tre anni dalla data di effettuazione dei singoli controlli.

 

53. Interventi sostitutivi

1. Nel caso in cui non vengano effettuati i controlli ambientali previsti dal presente decreto, il Ministro dell’ambiente diffida la regione a provvedere nel termine di sei mesi ovvero nel termine imposto dalle esigenze di tutela sanitaria e ambientale. In caso di persistente inadempienza provvede il Ministro dell’ambiente, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, in via sostitutiva, con oneri a carico dell’Ente inadempiente.

2. Nell’esercizio dei poteri sostitutivi, il Ministro dell’ambiente nomina un commissario ad acta che pone in essere gli atti necessari agli adempimenti previsti dalla normativa vigente a carico delle regioni al fine dell’organizzazione del sistema dei controlli.

 

Titolo V - Sanzioni

 

Capo I - Sanzioni amministrative e danno ambientale

 

54. Sanzioni amministrative

1. Chiunque, salvo che il fatto costituisca reato, nell’effettuazione di uno scarico ovvero di una immissione occasionale, supera i valori limite di emissione fissati nelle tabelle di cui all’allegato 5, ovvero i diversi valori limite stabiliti dalle regioni a norma dell’articolo 28, comma 2, ovvero quelli fissati dall’autorità competente a norma dell’articolo 34, comma 1, è punito con la sanzione amministrativa da lire cinque milioni a lire cinquanta milioni. Se l’inosservanza dei valori limite riguarda scarichi ovvero immissioni occasionali recapitanti nelle aree di salvaguardia delle risorse idriche destinate al consumo umano di cui al d.P.R. 24 maggio 1988, n. 236, così come modificato dall’articolo 21 ovvero in corpi idrici posti nelle aree protette di cui alla legge 6 dicembre 1991, n. 394, si applica la sanzione amministrativa non inferiore a lire trenta milioni.

2. Chiunque apre o comunque effettua scarichi di acque reflue domestiche o di reti fognarie, servite o meno da impianti pubblici di depurazione, senza l’autorizzazione di cui all’articolo 45, ovvero continui ad effettuare o mantenere detti scarichi dopo che l’autorizzazione sia stata sospesa o revocata, è punito con la sanzione amministrativa da lire dieci milioni a lire centro milioni. Nell’ipotesi di scarichi relativi ad edifici isolati adibiti ad uso abitativo la sanzione è da uno a cinque milioni.

3. Chiunque, salvo che il fatto costituisca reato, effettua o mantiene uno scarico senza osservare le prescrizioni indicate nel provvedimento di autorizzazione, ovvero per gli scarichi di cui all’articolo 33, comma 1, le prescrizioni regolamentari e le altre norme tecniche fissate dall’ente gestore, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da lire due milioni a lire venticinque milioni.

4. Si applica la sanzione prevista al comma 3 a chi effettuando al momento all’entrata in vigore del presente decreto scarichi di acque reflue autorizzati in base alla normativa previgente, non ottempera alle disposizioni di cui all’articolo 62, comma 12.

5. Chiunque viola le prescrizioni concernenti l’installazione e la gestione dei controlli in automatico ovvero l’obbligo di conservazione dei risultati degli stessi, di cui al comma 1 dell’articolo 52, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da lire un milione a lire venticinque milioni.

6. Chiunque, salvo che il fatto costituisca reato, effettua l’immersione in mare dei materiali indicati all’articolo 35, comma 1, lettere a) e b), ovvero svolge l’attività di posa in mare cui al comma 5 dello stesso articolo, senza autorizzazione, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da lire due milioni a lire venti milioni.

7. Chiunque applica al terreno degli effluenti zootecnici senza aver effettuato tempestivamente la comunicazione prescritta dall’articolo 38, comma 1, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria, da lire un milioni a lire cinque milioni. Si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da lire un milione a lire dieci milioni a chiunque non osserva le prescrizioni impartite dalle autorità competente ai sensi dell’articolo 38, comma 1, ovvero non ottempera all’ordine di sospensione dell’attività impartito a norma dell’articolo 38, comma 3.

8. Chiunque, salvo che il fatto costituisca reato non osserva il divieto di smaltimento dei fanghi previsto dall’articolo 48, comma 2, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da lire dieci milioni a lire cento milioni.

9. Il titolare di uno scarico che non consente l’accesso agli insediamenti da parte del soggetto incaricato del controllo ai fini di cui all’articolo 28, commi 3 e 4, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da lire un milione a lire sei milioni.

10. Salva che il fatto non costituisca reato, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da lire dieci milioni a lire cento milioni, chiunque:

a)   nell’effettuazione delle operazioni di svaso sghiaiamento o sfangamento delle dighe, supera i limiti o non osserva le altre prescrizioni contenute nello specifico progetto di gestione dell’impianto di cui all’articolo 40, commi 2 e 3;

b)   effettua le medesime operazioni prima dell’approvazione del progetto di gestione;

 

55. Modifiche al d.P.R. 24 maggio 1988, n. 236

1. Il comma 3 dell’articolo 21 del d.P.R. 24 maggio 1988, n. 236, è sostituito dal seguente: (omissis)

2. Il comma 4 dell’articolo 21 del d.P.R. 24 maggio 1988, n. 236, è così modificato: (omissis)

 

56. Competenza e giurisdizione

1. Fatte salve le altre disposizioni della legge 24 novembre 1981, n. 689, in materia di accertamento degli illeciti amministrativi, all’irrogazione delle sanzioni amministrative pecuniarie provvede la regione o la provincia autonoma nel cui territorio è stata commessa la violazione, ad eccezione delle sanzioni previste dall’articolo 54, commi 8 e 9, per le quali è competente il comune, salve le attribuzioni affidate dalla legge ad altre pubbliche autorità.

2. Avverso le ordinanze-ingiunzione relative alle sanzioni amministrative di cui al comma 1 è esperibile il giudizio di opposizione di cui all’articolo 23 della legge 24 novembre 1981, n. 689.

3. Per i procedimenti penali pendenti alla entrata in vigore del presente decreto l’autorità giudiziaria, se non deve pronunziare decreto di archiviazione o sentenza di proscioglimento, dispone la trasmissione degli atti agli enti indicati al comma 1 ai fini dell’applicazione delle sanzioni amministrative.

4. Alle sanzioni amministrative pecuniarie previste dal presente decreto non si applica il pagamento in misura ridotta di cui all’articolo 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689.

 

57. Proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie

1. Le somme derivanti dai proventi delle sanzioni amministrative previste dal presente decreto, sono versate all’entrata del bilancio regionale per essere riassegnate ai capitoli di spesa destinati alle opere di risanamento e di riduzione dell’inquinamento dei corpi idrici. Le regioni provvedono alla ripartizione delle somme riscosse fra gli interventi di prevenzione e di risanamento.

 

58. Danno ambientale, bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati

1. Chi con il proprio comportamento omissivo o commissivo in violazione delle disposizioni del presente decreto provoca un danno alle acque, al suolo, al sottosuolo e alle altre risorse ambientali, ovvero determina un pericolo concreto ed attuale di inquinamento ambientale, è tenuto a procedere a proprie spese agli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale delle aree inquinate e degli impianti dai quali è derivato il danno ovvero deriva il pericolo di inquinamento, ai sensi e secondo il procedimento di cui all’articolo 17 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22.

2. Ai sensi dell’articolo 18 della legge 8 luglio 1986, n. 349, è fatto salvo il diritto ad ottenere il risarcimento del danno non eliminabile con la bonifica ed il ripristino ambientale di cui al comma 1.

3. Nel caso in cui non sia possibile una precisa quantificazione del danno di cui al comma 2, lo stesso si presume, salvo prova contraria, di ammontare non inferiore alla somma corrispondente alla sanzione pecuniaria amministrativa, ovvero alla sanzione penale, in concreto applicata. Nel caso in cui sia stata irrogata una pena detentiva, solo al fine della quantificazione del danno di cui al presente comma, il ragguaglio fra la stessa e la pena pecuniaria, ha luogo calcolando quattrocentomila lire, per un giorno di pena detentiva. In caso di sentenza di condanna in sede penale o di emanazione del provvedimento di cui all’articolo 444 del codice di procedura penale, la cancelleria del giudice che ha emanato il provvedimento trasmette copia dello stesso al Ministero dell’ambiente. Gli enti di cui al comma 1 dell’articolo 56 danno prontamente notizia dell’avvenuta erogazione delle sanzioni amministrative al Ministero dell’ambiente al fine del recupero del danno ambientale.

4. Chi non ottempera alle prescrizioni di cui al comma 1, è punito con l’arresto da sei mesi ad un anno e con l’ammenda da lire cinque milioni a lire cinquanta milioni.

 

Capo II - Sanzioni penali

 

59. Sanzioni penali

1. Chiunque apre o comunque effettua nuovi scarichi di acque reflue industriali, senza autorizzazione, ovvero continua ad effettuare o mantenere detti scarichi dopo che l’autorizzazione sia stata sospesa o revocata, è punito con l’arresto da due mesi a due anni o con l’ammenda da lire due milioni a lire quindici milioni.

2. Alla stessa pena stabilita al comma 1, soggiace chi - effettuando al momento di entrata in vigore della presente decreto scarichi di acque reflue industriali autorizzati in base alla normativa previgente - non ottempera alle disposizioni di cui all’art. 62, comma 12.

3. Quando le condotte descritte ai commi 1 e 2 riguardano gli scarichi di acque reflue industriali contenenti le sostanze pericolose comprese nelle famiglie e nei gruppi di sostanze indicate nelle tabelle 5 e 3A dell’allegato 5, la pena è dell’arresto da tre mesi a tre anni.

4. Chiunque effettua uno scarico di acque reflue industriali contenenti le sostanze pericolose comprese nelle famiglie e nei gruppi di sostanze indicate nelle tabelle 5 e 3A dell’allegato 5 senza osservare le prescrizioni dell’autorizzazione, ovvero le altre prescrizioni richieste dall’autorità competente a norma dell’articolo 34, comma 3, è punito con l’arresto sino a due anni.

5. Chiunque, nell’effettuazione di uno scarico di acque reflue industriali, ovvero da una immissione occasionale, supera i valori limite fissati nella tabella 3 dell’allegato 5 in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5 ovvero i limiti più restrittivi fissati dalle regioni o delle province autonome, è punito con l’arresto fino a due anni e con l’ammenda da lire cinque milioni a lire cinquanta milioni. Se sono superati anche i valori limite fissati per le sostanze contenute nella tabella 3A dell’allegato 5, si applica l’arresto da sei mesi a tre anni e l’ammenda a lire dieci milioni a lire duecento milioni.

6. Le sanzioni di cui al comma 5 si applicano altresì al gestore di impianti di depurazione che, per dolo o per grave negligenza, nell’effettuazione dello scarico supera i valori limite previsti dallo stesso comma.

7. Chiunque non ottempera al provvedimento adottato dall’autorità competente ai sensi dell’articolo 10, comma 5, ovvero dell’articolo 12, comma 2, è punito con l’ammenda da lire due milioni a lire venti milioni.

8. Chiunque non osservi i divieti di scarico previsti dagli articoli 29 e 30 è punito con l’arresto sino a tre anni.

9. Chiunque non osserva le prescrizioni regionali assunte a norma dell’articolo 15, commi 2 e 3, dirette ad assicurare il raggiungimento ovvero il ripristino degli obiettivi di qualità delle acque designate ai sensi dell’articolo 14, ovvero non ottempera ai provvedimenti adottati dall’autorità competente ai sensi dell’articolo 14, comma 3, è punito con l’arresto sino a due anni o con l’ammenda da lire sette milioni a lire settanta milioni.

10. Nei casi previsti dal comma 7, il Ministro della sanità e dell’ambiente, nonché la regione e la provincia autonoma competente, ai quali sono inviati copia delle notizie di reato, possono indipendentemente dall’esito del giudizio penale, disporre, ciascuno per quanto di competenza, la sospensione in via cautelare dell’attività di molluschicoltura e, a seguito di sentenza di condanna o di decisione emessa ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale definitive, valutata la gravità dei fatti, disporre la chiusura degli impianti.

11. Si applica sempre la pena dell’arresto da due mesi a due anni se lo scarico nelle acque del mare da parte di navi od aeromobili contiene sostanze o materiali per i quali è imposto il divieto assoluto di sversamento ai sensi delle disposizioni contenute nelle convenzioni internazionali vigenti in materia e ratificate dall’Italia, salvo che siano in quantità tali da essere resi rapidamente innocui dai processi fisici, chimici e biologici, che si verificano naturalmente in mare. Resta fermo, in quest’ultimo caso l’obbligo della preventiva autorizzazione da parte dell’autorità competente.

 

60. Obblighi del condannato

1. Con la sentenza di condanna per i reati previsti nel presente decreto, o con la decisione emessa ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, il beneficio della sospensione condizionale della pena può essere subordinato al risarcimento del danno e all’esecuzione degli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino di cui all’articolo 58.

 

61. Circostanza attenuante

1. Nei confronti di chi, prima del giudizio penale o dell’ordinanza-ingiunzione, ha riparato interamente il danno, le sanzioni penali e amministrative previste nel presente titolo sono diminuite dalla metà a due terzi.

 

Titolo VI - Disposizioni finali

 

62. Norme transitorie e finali

1. Il presente decreto contiene le norme di recepimento delle seguenti direttive comunitarie:

a)   direttiva 75/440/CEE relativa alla qualità delle acque superficiali destinate alla produzione di acqua potabile;

b)   direttiva 76/464/CEE concernente l’inquinamento provocato da certe sostanze pericolose scaricate nell’ambiente idrico;

c)   direttiva 78/659/CEE relativa alla qualità delle acque dolci che richiedono protezione o miglioramento per essere idonee alla vita dei pesci;

d)   direttiva 79/869/CEE relativa ai metodi di misura, alla frequenza dei campionamenti e delle analisi delle acque superficiali destinate alla produzione di acqua potabile;

e)   direttiva 79/923/CEE relativa ai requisiti di qualità delle acque destinate alla molluschicoltura;

f)    direttiva 80/68/CEE relativa alla protezione delle acque sotterranee dall’inquinamento provocato da certe sostanze pericolose;

g)   direttiva 82/176/CEE relativa ai valori limite ed obiettivi di qualità per gli scarichi di mercurio del settore dell’elettrolisi dei cloruri alcalini;

h)   direttiva 83/513/CEE relativa ai valori limite ed obiettivi di qualità per gli scarichi di cadmio;

i)     direttiva 84/156/CEE relativa ai valori limite ed obiettivi di qualità per gli scarichi di mercurio provenienti da settori diversi da quello dell’elettrolisi dei cloruri alcalini;

l)     direttiva 84/491/CEE relativa ai valori limite e obiettivi di qualità per gli scarichi di esaclorocicloesano;

m) direttiva 88/347/CEE relativa alla modifica dell’allegato II della direttiva 86/280/CEE concernente i valori limite e gli obiettivi di qualità per gli scarichi di talune sostanze pericolose che figurano nell’elenco I dell’allegato della direttiva 76/464/CEE;

n)   direttiva 90/415/CEE relativa alla modifica della direttiva 86/280/CEE concernente i valori limite e gli obiettivi di qualità per gli scarichi di talune sostanze pericolose che figurano nell’elenco I della direttiva 76/464/CEE;

o)   direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane;

p)   direttiva 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque da inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole;

q)   direttiva 98/15/CE recante modifica della direttiva 91/271/CEE per quanto riguarda alcuni requisiti dell’allegato I.

2. Le previsioni del presente decreto possono essere derogate solo temporaneamente e in caso di comprovate circostanze eccezionali, per motivi di sicurezza idraulica volti ad assicurare l’incolumità delle popolazioni.

3. Le regioni definiscono, in termini non inferiori a due anni, i tempi di adeguamento alle prescrizioni, ivi comprese quelle adottate ai sensi dell’articolo 28, comma 2, contenute nella legislazione regionale attuativa del presente decreto e nei piani di tutela di cui all’articolo 44, comma 3.

4. Resta fermo quanto disposto dall’articolo 36 della legge 24 aprile 1998, n.128 e relativi decreti legislativi di attuazione della direttiva 96/92/CE.

5. L’abrogazione degli articoli 16 e 17 della legge 10 maggio 1976, n. 319, così come modificato ed integrato, quest’ultimo, dall’articolo 2, commi 3 e 3-bis, del decreto legge 17 marzo 1995, n.79, convertito, con modificazioni, della legge 17 maggio 1995, n.172, ha effetto dall’applicazione della tariffa del servizio idrico integrato di cui agli articoli 13 e seguenti della legge 5 gennaio 1994, n. 36.

6. Il canone o diritto di cui all’articolo 16 della legge 10 maggio 1976, n. 319, e successive modificazioni continua ad applicarsi in relazione ai presupposti di imposizione verificatisi anteriormente all’abrogazione del tributo ad opera del presente decreto. Per l’accertamento e la riscossione si osservano le disposizioni relative al tributo abrogato.

7. Per quanto non espressamente disciplinato dal presente decreto, continuano ad applicarsi le norme tecniche di cui alla delibera del Comitato interministeriale per la tutela delle acque del 4 febbraio 1977 e successive modifiche ed integrazioni, pubblicata sulla Gazzetta ufficiale n. 48 del 21 febbraio 1977.

8. Le norme regolamentari e tecniche emanate ai sensi delle disposizioni abrogate con l’articolo 63 restano in vigore, ove compatibili con gli allegati al presente decreto e fino all’adozione di specifiche normative in materia.

9. Le aziende agricole esistenti tenute al rispetto del codice di buona pratica agricola ai sensi dell’articolo 19, comma 5, devono provvedere all’adeguamento delle proprie strutture entro due anni dalla data di designazione delle zone vulnerabili da nitrati di origine agricola

10. Fino all’emanazione del decreto di cui all’articolo 38, le attività di utilizzazione agronomica sono effettuate secondo le disposizioni regionali vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto.

11. Fatte salve le disposizioni specifiche previste dal presente decreto, i titolari degli scarichi esistenti devono adeguarsi alla nuova disciplina entro tre anni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, anche nel caso di scarichi per i quali l’obbligo di autorizzazione è stato introdotto dalla presente normativa. I titolari degli scarichi esistenti e autorizzati procedono alla richiesta di autorizzazione in conformità alla presente normativa allo scadere dell’autorizzazione e comunque non oltre quattro anni dall’entrata in vigore del presente decreto.

12. Coloro che effettuano scarichi già esistenti di acque reflue, sono obbligati, fino al momento nel quale devono osservare i limiti di accettabilità stabiliti dal presente decreto, ad adottare le misure necessarie ad evitare un aumento anche temporaneo dell’inquinamento. Essi sono comunque tenuti ad osservare le norme tecniche e le prescrizioni stabilite dalle regioni, dall’ente gestore delle fognature e dalle altre autorità competenti in quanto compatibili con le disposizioni relative alla tutela qualitativa e alle scadenze temporali del presente decreto e, in particolare, con quanto già previsto dalla normativa previgente.

13. Dall’attuazione del presente decreto non devono derivare maggiori oneri o minori entrate a carico del bilancio dello Stato, fatto salvo quanto previsto dal comma 14.

14. Le regioni, le provincie autonome e gli enti attuatori provvedono agli adempimenti previsti dal presente decreto anche sulla base di risorse finanziarie definite da successive disposizioni di finanziamento nazionali e comunitarie.

15. All’articolo 6, comma 1, del decreto legge 25 marzo 1997, n. 67, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 1997, n.135, così come sostituito dall’articolo 8, comma 2, della legge 8 ottobre 1997, n. 344, le parole: “ tenendo conto della direttiva 91/271/CEE del Consiglio del 21 maggio 1991 concernente il trattamento delle acque reflue urbane sono sostituite dalle seguenti tenendo conto del decreto legislativo recante disposizioni sulla tutela delle acque dall’inquinamento e recepimento della direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane e della direttiva 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque dall’inquinamento provocato dai nitrati provenienti dalle fonti agricole.

 

63. Abrogazione

1. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 3, comma 2, a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto sono abrogate le norme contrarie o incompatibili con il medesimo, ed in particolare:

-        legge 10 maggio 1976, n. 319;

-        legge 8 ottobre 1976, n. 690, di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 10 agosto 1976, n. 544;

-        legge 24 dicembre 1979, n. 650;

-        legge 5 marzo 1982, n. 62, di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 dicembre 1981, n. 801;

-        d.P.R. 3 luglio 1982, n. 515;

-        legge 25 luglio 1984, n. 381 di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 29 maggio 1984, n. 176;

-        gli articoli 4 e 5 della legge 5 aprile 1990, n. 71 di conversione in legge,con modificazioni, del decreto-legge 5 febbraio 1990, n. 16;

-        decreto legislativo 25 gennaio, 1992, n. 130;

-        decreto legislativo 27 gennaio, 1992, n. 131;

-        decreto legislativo 27 gennaio, 1992, n. 132;

-        decreto legislativo 27 gennaio, 1992, n. 133;

-        art. 2, comma 1, legge 6 dicembre 1993, n. 502, di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 9 ottobre 1993, n. 408;

-        art. 9-bis, legge 20 dicembre 1996, n. 642, di conversione in legge, con modificazioni, del-decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 552;

-        legge 17 maggio 1995, n. 172, di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 17 marzo 1995, n. 79.

2. Sono fatti salvi, in ogni caso, gli effetti finanziari derivanti dai provvedimenti di cui al comma 1.

 

ALLEGATI:

ALLEGATO 1: Monitoraggio e classificazione delle acque in funzione degli obiettivi di qualità ambientale.

ALLEGATO 2: Criteri per la classificazione dei corpi idrici a destinazione funzionale.

ALLEGATO 3: Rilevamento delle caratteristiche dei bacini idrografici e analisi dell’impatto esercitato dall’attività antropica.

ALLEGATO 4: Contenuti dei piani di tutela dei bacini idrografici.

ALLEGATO 5: Limiti di emissione degli scarichi idrici.

ALLEGATO 6: Criteri per la definizione delle aree sensibili.

ALLEGATO 7: Zone vulnerabili. 

 

ALLEGATO 1:

MONITORAGGIO E CLASSIFICAZIONE DELLE ACQUE IN FUNZIONE DEGLI OBIETTIVI DI QUALITA' AMBIENTALE

 

1 CORPI IDRICI SIGNIFICATIVI

1.1 CORPI IDRICI SUPERFICIALI

1.1.1 Corsi d'acqua superficiali

1.1.2 Laghi

1.1.3 Acque marine costiere

1.1.4 Acque di transizione

1.1.5 Corpi idrici artificiali

1.2 CORPI IDRICI SOTTERRANEI

1.2.1 Acque sotterranee

2 OBIETTIVI DI QUALITÀ AMBIENTALE

2.1 CORPI IDRICI SUPERFICIALI

2.1.1 Stato ecologico

2.1.2 Stato chimico

2.1.3 Stato ambientale

2.2 CORPI IDRICI SOTTERRANEI

2.2.1 Stato ambientale

3 MONITORAGGIO E CLASSIFICAZIONE: ACQUE SUPERFICIALI

3.1 ORGANIZZAZIONE DEL MONITORAGGIO

3.1.1 Fase conoscitiva

3.1.2 Fase a regime

3.2 CORSI D’ACQUA

3.2.1 Indicatori di qualità e analisi da effettuare

3.2.2 Campionamento (omissis)

3.2.3 Classificazione (omissis)

3.2.4 Attribuzione dello stato di qualità ambientale

3.3 LAGHI (omissis)

3.4 ACQUE MARINE COSTIERE (omissis)

3.5 ACQUE DI TRANSIZIONE (omissis)

3.6 CORPI IDRICI ARTIFICIALI (omissis)

4 MONITORAGGIO E CLASSIFICAZIONE: ACQUE SOTTERRANEE

4.1 ORGANIZZAZIONE DEL MONITORAGGIO

4.1.1 Fase conoscitiva

4.1.2 Fase a regime

4.2 INDICATORI DI QUALITA' ED ANALISI DA EFFETTUARE

4.2.1 Fase iniziale

4.2.2 Fase a regime

4.3 MISURE

4.4 CLASSIFICAZIONE

4.4.1 Stato quantitativo

4.4.2 Stato chimico

4.4.3 Stato ambientale delle acque sotterranee

 

Il presente allegato stabilisce, ai sensi degli articoli 4 e 5 , i criteri per individuare i corpi idrici significativi e per stabilire lo stato di qualità ambientale di ciascuno di essi.

Il presente allegato sostituisce l’allegato 1 della delibera del Comitato dei ministri per la tutela delle acque dall’inquinamento del 4 febbraio 1977 per la parte relativa ai criteri per il monitoraggio quali quantitativo dei corpi idrici.

1. CORPI IDRICI SIGNIFICATIVI

Sono corpi idrici significativi quelli che le autorità competenti individuano sulla base delle indicazioni contenute nel presente allegato e che conseguentemente vanno monitorati e classificati al fine del raggiungimento degli obiettivi di qualità ambientale.

Le caratteristiche dei corpi idrici significativi sono indicate nei punti 1.1 e 1.2.

Devono inoltre essere censiti, monitorati e classificati anche tutti quei corpi idrici che, per valori naturalistici e/o paesaggistici o per particolari utilizzazioni in atto, hanno rilevante interesse ambientale.

Devono altresì essere monitorati e classificati tutti quei corpi idrici che, per il carico inquinante da essi convogliato, possono avere una influenza negativa rilevante sui corpi idrici significativi.

1.1 CORPI IDRICI SUPERFICIALI

1.1.1 CORSI D’ACQUA SUPERFICIALI

Per i corsi d’acqua che sfociano in mare il limite delle acque correnti coincide con l’inizio della zona di foce, corrispondente alla sezione del corso d’acqua più lontana dalla foce, in cui con bassa marea ed in periodo di magra si riscontra, in uno qualsiasi dei suoi punti, un sensibile aumento del grado di salinità. Tale limite viene identificato per ciascun corso d’acqua.

Vanno censiti, secondo le modalità che saranno stabiliti, stabilite nel decreto di cui all’articolo 3 comma 7, tutti i corsi d’acqua naturali aventi un bacino idrografico superiore a 10 km2.

Sono significativi almeno i seguenti corsi d’acqua:

·       tutti i corsi d’acqua naturali di primo ordine (cioè quelli recapitanti direttamente in mare) il cui bacino imbrifero abbia una superficie maggiore di 200 km2 ;

·       tutti i corsi d’acqua naturali di secondo ordine o superiore il cui bacino imbrifero abbia una superficie maggiore a 400 km2 .

Non sono significativi i corsi d’acqua che per motivi naturali hanno avuto portata uguale a zero per più di 120 giorni l’anno, in un anno idrologico medio.

1.1.2 LAGHI

Le raccolte di acque lentiche non temporanee. I laghi sono: a) naturali aperti o chiusi, a seconda che esista o meno un emissario; b) naturali ampliati e/o regolati, se provvisti all’incile di opere di regolamentazione idraulica;
Sono significativi i laghi aventi superficie dello specchio liquido pari a 0,5 km2 o superiore. Tale superficie è riferita al periodo di massimo invaso.

1.1.3 ACQUE MARINE COSTIERE

Sono significative le acque marine comprese entro la distanza di 3.000 metri dalla costa e comunque entro la batimetrica dei 50 metri.

1.1.4 ACQUE DI TRANSIZIONE

Sono acque di transizione le acque delle zone di delta ed estuario e le acque di lagune, di laghi salmastri e di stagni costieri.
Sono significative le acque delle lagune, dei laghi salmastri e degli stagni costieri. Le zone di delta ed estuario vanno invece considerate come corsi d’acqua superficiali.

1.1.5 CORPI IDRICI ARTIFICIALI

Sono i laghi o i serbatoi, se realizzati mediante manufatti di sbarramento, e i canali artificiali (canali irrigui o scolanti, industriali, navigabili, ecc.) fatta esclusione dei canali appositamente costruiti per l’allontanamento delle acque reflue urbane ed industriali.

Sono considerati significativi tutti i canali artificiali aventi portata di esercizio di almeno 3 m3/s e i laghi artificiali o i serbatoi aventi superficie dello specchio liquido almeno pari a 1 km2 o con volume di invaso almeno pari a 5 milioni di m3. Tale superficie è riferita al periodo di massimo invaso.

1.2 CORPI IDRICI SOTTERRANEI

1.2.1 ACQUE SOTTERRANEE

Sono significativi gli accumuli d’acqua contenuti nel sottosuolo permeanti la matrice rocciosa, posti al di sotto del livello di saturazione permanente.

Fra esse ricadono le falde freatiche e quelle profonde (in pressione o no) contenute in formazioni permeabili, e, in via subordinata, i corpi d’acqua intrappolati entro formazioni permeabili con bassa o nulla velocità di flusso. Le manifestazioni sorgentizie, concentrate o diffuse (anche subacquee) si considerano appartenenti a tale gruppo di acque in quanto affioramenti della circolazione idrica sotterranea.

Non sono significativi gli orizzonti saturi di modesta estensione e continuità all’interno o sulla superficie di una litozona poco permeabile e di scarsa importanza idrogeologica e irrilevante significato ecologico.

 

2  OBIETTIVI DI QUALITÀ AMBIENTALE

2.1 CORPI IDRICI SUPERFICIALI

Lo stato di qualità ambientale dei corpi idrici superficiali è definito sulla base dello stato ecologico e dello stato chimico del corpo idrico.

2.1.1 Stato ecologico

Lo stato ecologico dei corpi idrici superficiali è l’espressione della complessità degli ecosistemi acquatici, e della natura fisica e chimica delle acque e dei sedimenti, delle caratteristiche del flusso idrico e della struttura fisica del corpo idrico, considerando comunque prioritario lo stato degli elementi biotici dell’ecosistema.

Gli elementi chimici che saranno considerati per la definizione dello stato ecologico saranno, a seconda del corpo idrico, i parametri chimici e fisici di base relativi al bilancio dell’ossigeno ed allo stato trofico.

Al fine di una valutazione completa dello stato ecologico, oltre all’utilizzo dell’indice biotico esteso (I.B.E.) per i corsi d’acqua superficiali, sarà necessario utilizzare i metodi per la rilevazione e la valutazione della qualità degli elementi biologici e di quelli morfologici dei corpi idrici che dovranno essere messi a punto dall’ANPA.

2.1.2 Stato chimico

Lo stato chimico è definito in base alla presenza di microinquinanti ovvero di sostanze chimiche pericolose.

La valutazione dello stato chimico dei corpi idrici superficiali è effettuata inizialmente in base ai valori soglia riportate nella direttiva 76/464/CEE e nelle direttive da essa derivate, nelle parti riguardanti gli obiettivi di qualità nonché nell’allegato 2 sezione B; nel caso che per gli stessi parametri siano riportati valori diversi, deve essere considerato il più restrittivo.

Alla successiva tabella 1 sono riportati i principali inquinanti chimici.

L’aggiornamento dei valori per i parametri indicati nella tabella 1 e la definizione di quelli relativi ad altri composti non inclusi nella tabella, pubblicato con successivi decreti, sarà effettuato sulla base dei risultati relativi alle LC50 o EC50, risultanti dai test tossicologici su ognuno dei tre livelli trofici, ridotti con opportuni fattori di sicurezza e in base alle indicazioni fornite dalla Unione Europea.

Al fine di una valutazione completa dello stato chimico, in particolare per quei microinquinanti che presentano una loro maggior affinità coi sedimenti rispetto alla matrice acquosa e/o per la alta capacità di diluizione dei corpi idrici aperti come il mare, non si trovano in concentrazioni significative nelle acque, pur avendo potenziali effetti tossici sugli organismi a causa di fenomeni di bioaccumulo, dovranno essere messi a punto, da parte dell’ANPA, metodi per la rilevazione e la valutazione della qualità dei sedimenti, nonché per la valutazione degli effetti sulle componenti biotiche degli ecosistemi .

Tali criteri integreranno anche quelli già adottati relativi agli altri corpi idrici superficiali, soprattutto per quanto riguarda quelli a basso ricambio.

 

Tabella 1 - Principali inquinanti chimici da controllare nelle acque dolci superficiali

INORGANICI (disciolti) (1)

ORGANICI ( sul tal quale)

Cadmio

aldrin

Cromo totale

dieldrin

Mercurio

endrin

Nichel

isodrin

Piombo

DDT

Rame

esaclorobenzene

Zinco

esaclorocicloesano

 

esaclorobutadiene

 

1,2 dicloroetano

 

tricloroetilene

 

triclorobenzene

 

cloroformio

 

tetracloruro di carbonio

 

percloroetilene

 

pentaclorofenolo

(1) se è accertata l’origine naturale di sostanze inorganiche, la loro presenza non compromette l’attribuzione di una classe di qualità definita dagli altri parametri.

2.1.3 Stato ambientale

Lo stato ambientale è definito in relazione al grado di scostamento rispetto alle condizioni di un corpo idrico di riferimento definito al successivo punto 2.1.4.

Gli stati di qualità ambientale previsti per le acque superficiali sono riportati alla tabella 2.

 

Tabella 2 – Definizione dello stato ambientale per i corpi idrici superficiali

ELEVATO

Non si rilevano alterazioni dei valori di qualità degli elementi chimico-fisici ed idromorfologici per quel dato tipo di corpo idrico in dipendenza degli impatti antropici, o sono minime rispetto ai valori normalmente associati allo stesso ecotipo in condizioni indisturbate. La qualità biologica sarà caratterizzata da una composizione e un’abbondanza di specie corrispondente totalmente o quasi alle condizioni normalmente associate allo stesso ecotipo.

La presenza di microinquinanti, di sintesi e non di sintesi, è paragonabile alle concentrazioni di fondo rilevabili nei corpi idrici non influenzati da alcuna pressione antropica.

BUONO

I valori degli elementi della qualità biologica per quel tipo di corpo idrico mostrano bassi livelli di alterazione derivanti dall’attività umana e si discostano solo leggermente da quelli normalmente associati allo stesso ecotipo in condizioni non disturbate

La presenza di microinquinanti, di sintesi e non di sintesi, è in concentrazioni da non comportare effetti a breve e lungo termine sulle comunità biologiche associate al corpo idrico di riferimento.

SUFFICIENTE

I valori degli elementi della qualità biologica per quel tipo di corpo idrico si discostano moderatamente da quelli di norma associati allo stesso ecotipo in condizioni non disturbate. I valori mostrano segni di alterazione derivanti dall’attività umana e sono sensibilmente più disturbati che nella condizione di "buono stato"

La presenza di microinquinanti, di sintesi e non di sintesi, è in concentrazioni da non comportare effetti a breve e lungo termine sulle comunità biologiche associate al corpo idrico di riferimento.

SCADENTE

Si rilevano alterazioni considerevoli dei valori degli elementi di qualità biologica del tipo di corpo idrico superficiale, e le comunità biologiche interessate si discostano sostanzialmente da quelle di norma associate al tipo di corpo idrico superficiale inalterato.

La presenza di microinquinanti, di sintesi e non di sintesi, è in concentrazioni da comportare effetti a medio e lungo termine sulle comunità biologiche associate al corpo idrico di riferimento.

PESSIMO

I valori degli elementi di qualità biologica del tipo di corpo idrico superficiale presentano alterazioni gravi e mancano ampie porzioni delle comunità biologiche di norma associate al tipo di corpo idrico superficiale inalterato

La presenza di microinquinanti, di sintesi e non di sintesi, è in concentrazioni tali da causare gravi effetti a breve e lungo termine sulle comunità biologiche associate al corpo idrico di riferimento.

2.1.3.1 Corpi idrici di riferimento

Il corpo idrico di riferimento è quello con caratteristiche biologiche, idromorfologiche, e fisico-chimiche. tipiche di un corpo idrico relativamente immune da impatti antropici.

I corpi idrici di riferimento sono individuati, anche in via teorica, in ogni bacino idrografico, dalle autorità di bacino o dalle regioni per i bacini di competenza.

Per quanto riguarda i corsi d’acqua naturali ed i laghi dovranno essere individuati almeno un corpo idrico di riferimento per l’ecotipo montano ed uno per l’ecotipo di pianura.

Tale ecotipo serve a definire le condizioni di riferimento per lo stato ambientale "Elevato" e per riformulare i limiti indicati nel presente allegato per i parametri chimici, fisici ed idromorfologici relativi ai diversi stati di qualità ambientale.

2.2 CORPI IDRICI SOTTERRANEI

Lo stato di qualità ambientale dei corpi idrici sotterranei è definito sulla base dello stato quantitativo e dello stato chimico: tale classificazione deve essere riferita ad ogni singolo acquifero individuato.

Per la classificazione quantitativa e chimica bisogna riferirsi alle indicazioni riportate ai punti 4.4.1 e 4.4.2.

2.2.1 Stato ambientale

Per le acque sotterranee sono definiti 5 stati di qualità ambientale, come riportato nella tabella 3.

 

Tabella 3 – Definizioni dello stato ambientale per le acque sotterranee.

ELEVATO

Impatto antropico nullo o trascurabile sulla qualità e quantità della risorsa, con l’eccezione di quanto previsto nello stato naturale particolare;

BUONO

Impatto antropico ridotto sulla qualità e/o quantità della risorsa;

SUFFICIENTE

Impatto antropico ridotto sulla quantità, con effetti significativi sulla qualità tali da richiedere azioni mirate ad evitarne il peggioramento;

SCADENTE

Impatto antropico rilevante sulla qualità e/o quantità della risorsa con necessità di specifiche azioni di risanamento;

NATURALE PARTICOLARE

Caratteristiche qualitative e/o quantitative che pur non presentando un significativo impatto antropico, presentano limitazioni d’uso della risorsa per la presenza naturale di particolari specie chimiche o per il basso potenziale quantitativo.

 

3 MONITORAGGIO E CLASSIFICAZIONE: ACQUE SUPERFICIALI

3.1 ORGANIZZAZIONE DEL MONITORAGGIO

Il monitoraggio si articola in una fase conoscitiva iniziale che ha come scopo la classificazione dello stato di qualità ambientale dei corpi idrici ed in una fase a regime in cui viene effettuato un monitoraggio volto a verificare il raggiungimento ovvero il mantenimento dell’obiettivo di qualità "buono" di cui all’articolo 4.

3.1.1 Fase conoscitiva

La fase conoscitiva iniziale ha la durata di 24 mesi ed ha come finalità la classificazione dello stato di qualità di ciascun corpo idrico; in base ad esso le autorità competenti definiscono, nell’ambito del piano di tutela, le misure necessarie per il raggiungimento o il mantenimento dell’obiettivo di qualità ambientale.

La fase conoscitiva iniziale, ha altresì lo scopo di raccogliere tutte le informazioni utili alla valutazione degli elementi biologici e idromorfologici necessari a definire più compiutamente lo stato ecologico dei corpi idrici superficiali, nonché per valutare le informazioni relative alla contaminazione da microinquinanti dei sedimenti e del biota, in particolare per quanto riguarda le acque costiere e le acque di transizione.

Le informazioni pregresse non antecedenti il 1997, possono essere utilizzate – se compatibili con quelle richieste nel presente allegato - in sostituzione o integrazione delle analisi previste nella fase iniziale del monitoraggio per l’attribuzione dello stato di qualità.

3.1.2 Fase a regime

Se i corpi idrici hanno raggiunto l’obiettivo "Buono" o "Elevato", il monitoraggio può essere ridotto ai soli parametri riportati in tabella 4. L’autorità competente, in relazione allo stato dei corsi d’acqua, può variare la frequenza dei campionamenti e il numero delle stazioni della rete di rilevamento.

Le autorità competenti armonizzano e ricercano la miglior integrazione possibile tra le diverse iniziative di controllo delle acque (monitoraggio per la balneazione, per la produzione di acqua potabile, per la vita dei pesci, ed altri), al fine di ottimizzare l’impiego di risorse umane e finanziarie.

Deve inoltre essere predisposto, presso ogni ARPA, o comunque presso ogni regione in attesa che venga costituita l’ARPA, un sistema di pronto intervento in grado di monitorare gli effetti ed indagare sulle cause di fenomeni acuti di inquinamento causati da episodi accidentali o dolosi.

3.2 CORSI D’ACQUA

3.2.1 Indicatori di qualità e analisi da effettuare

Ai fini della prima classificazione della qualità dei corsi d’acqua vanno eseguite determinazioni sulla matrice acquosa e sul biota; qualora ne ricorra la necessità, così come indicato successivamente nei punti relativi agli specifici corpi idrici, tali determinazioni possono essere integrate da indaginisui sedimenti e da test di tossicità.

Le determinazioni necessarie per il sistema di classificazione sono condotte sui campioni e con le frequenze indicate nella sezione 3.2.2.

3.2.1.1 Acque

Le determinazioni sulla matrice acquosa riguardano due gruppi di parametri, quelli di base e quelli addizionali.

I parametri di base, riportati in tabella 4, riflettono le pressioni antropiche tramite la misura del carico organico, del bilancio dell’ossigeno, dell’acidità, del grado di salinità e del carico microbiologico nonché le caratteristiche idrologiche del trasporto solido. I parametri definiti macrodescritori e indicati con (o) nella tabella 4 vengono utilizzati la classificazione; gli altri parametri servono a fornire informazioni di supporto per la interpretazione delle caratteristiche di qualità e di vulnerabilità del sistema nonché per la valutazione dei carichi trasportati.

La determinazione dei parametri di base è obbligatoria.

I parametri addizionali sono relativi ai microinquinanti organici ed inorganici; quelli di più ampio significato ambientale è sono riportati nella tabella 1.

La selezione dei parametri da esaminare è effettuata dall’autorità competente caso per caso, in relazione alle criticità conseguenti agli usi del territorio.

Le analisi dei parametri addizionali vanno effettuate ove l’Autorità competente lo ritenga necessario e comunque nel caso in cui:

a seguito delle attività delle indagini conoscitive di cui all’allegato 3 si individuino sorgenti puntuali e diffuse o si abbiano informazioni pregresse e attuali su sorgenti puntuali e diffuse che apportino una o più specie di tali inquinanti nel corpo idrico; dati recenti dimostrino livelli contaminazione, da parte di tali sostanza, delle acque e del biota o segni di incremento delle stesse nei sedimenti

 

Tabella 4 - Parametri di base (con (o) sono indicati i parametri macrodescrittori utilizzati per la classificazione)

Portata (m3/s)

Ossigeno disciolto (mg/L) ** (o)

pH

BOD5 (O2 mg/L) ** (o)

Solidi sospesi (mg/L)

COD (O2 mg/L) ** (o)

Temperatura (°C)

Ortofosfato (P mg/L) *

Conducibilità (m S/ cm (20°C)) **

Fosforo Totale (P mg/L) ** (o)

Durezza (mg/L di CaCO3)

Cloruri (Cl- mg/L) *

Azoto totale (N mg/L) **

Solfati (SO4 - - mg/L)*

Azoto ammoniacale (N mg/L) *(o)

Escherichia coli (UFC/100 mL) (o)

Azoto nitrico (N mg/L) *(o)

 

(*) determinazione sulla fase disciolta (**) determinazione sul campione tal quale

3.2.1.2 Biota

Le determinazioni sul biota riguardano due gruppi di analisi:

Analisi di base: gli impatti antropici sulle comunità animali dei corsi d’acqua vengono valutati attraverso l’Indice Biotico Esteso (I.B.E.). Tale analisi va eseguita obbligatoriamente con le cadenze indicate al punto 3.2.2.2.

Analisi supplementari: non obbligatorie, da eseguire a giudizio dell’autorità che effettua il monitoraggio, per una analisi più approfondita delle cause di degrado del corpo idrico. A tal fine possono essere effettuati saggi biologici finalizzati alla evidenziazione di effetti a breve o lungo termine. Tra questi in via prioritaria si segnalano:

·         test di tossicità su campioni acquosi concentrati su Daphnia magna;

·         test di mutagenicità e teratogenesi su campioni acquosi concentrati;

·         test di crescita algale;

·         test su campioni acquosi concentrati con batteri bioluminescenti;

In aggiunta si segnala l’opportunità di effettuare determinazioni di accumulo di contaminanti prioritari (PCB, DDT e Cd) su tessuti muscolari di specie ittiche residenti o su organismi macrobentonici.

3.2.1.3 Sedimenti

Le analisi sui sedimenti sono da considerarsi come analisi supplementari eseguite per avere, se necessario, ulteriori elementi conoscitivi utili a determinare le cause di degrado ambientale di un corso d’acqua.

Le autorità preposte al monitoraggio devono, nel caso, selezionare i parametri da ricercare, prioritariamente tra quelli riportati nella tabella 5 e, se necessario, includerne altri, considerando le condizioni geografiche ed idromorfologiche del corso d’acqua, i fattori di pressione antropica cui è sottoposto e la tipologia degli scarichi immessi.

Le determinazioni sui sedimenti vanno fatte in particolare per ricercare quegli inquinanti che presentano una maggior affinità con i sedimenti rispetto che alla matrice acquosa.

Qualora sia necessaria un’analisi più approfondita volta a evidenziare gli effetti tossici a breve o a lungo termine si potranno effettuare dei saggi biologici sui sedimenti. Gli approcci possibili sono molteplici e riconducibili a tre soluzioni fondamentali:

saggi su estratti di sedimento saggi sul sedimento in toto saggi su acqua interstiziale

Ogni soluzione offre informazioni peculiari e pertanto l’applicazione congiunta di più tipi di saggio spesso garantisce le informazioni volute. Possono essere utilizzati organismi acquatici, sia in saggi acuti che (sub)cronici. In via prioritaria si segnalano: Oncorhynchus mykiss, Daphnia magna, Ceriodaphnia dubia, Chironomus tentans e C.riparius, Selenastrum capricornutum e batteri luminescenti.

 

Tabella 5 - Microinquinanti e sostanze pericolose di prima priorità da ricercare nei sedimenti

Inorganici e Metalli

Organici ()

Arsenico

Policlorobifenili (PCB)

Cadmio

Diossine (TCDD)

Zinco

Idrocarburi policiclici aromatici (IPA)

Cromo totale

Pesticidi organoclorurati

Mercurio

 

Nichel

 

Piombo

 

Rame

 

3.2.2 Campionamento (omissis)

3.2.3 Classificazione (omissis)

3.2.4 Attribuzione dello stato di qualità ambientale

Al fine della attribuzione dello stato ambientale del corso d’acqua i dati relativi allo stato ecologico andranno rapportati con i dati relativi alla presenza degli inquinanti chimici indicati in tabella 1, secondo lo schema riportato alla Tabella 9:

 

Tabella 9 - Stato ambientale dei corsi d’acqua

Stato Ecologico Þ

Classe 1

Classe 2

Classe 3

Classe 4

Classe 5

Concentrazione inquinanti di cui alla Tabella 1 ß

 

 

 

 

 

< = Valore Soglia

ELEVATO

BUONO

SUFFICIENTE

SCADENTE

PESSIMO

>  Valore Soglia

SCADENTE

SCADENTE

SCADENTE

SCADENTE

PESSIMO

 

Se lo stato ambientale da attribuire alla sezione di corpo idrico risulta inferiore a "Buono", devono essere effettuati accertamenti successivi finalizzati alla individuazione delle cause del degrado alla definizione delle azioni di risanamento.
Tali accertamenti, soprattutto se il risultato derivante dall’I.B.E. è significativamente peggiore della classificazione derivante dai dati dei macrodescrittori e degli eventuali parametri addizionali, devono includere analisi supplementari volte a verificare la presenza di sostanze pericolose non ricercate in precedenza ovvero l’esistenza di eventuali effetti di tipo tossico su organismi acquatici, ovvero di fenomeni di accumulo di contaminanti nei sedimenti e nel biota

L’eventuale evidenziazione di situazioni di tossicità per gli organismi testati e/o evidenze di bioaccumulo sugli stessi portano ad attribuire lo stato ambientale scadente.

3.3 LAGHI (omissis)

3.4 ACQUE MARINE COSTIERE (omissis)

3.5 ACQUE DI TRANSIZIONE (omissis)

 

4 MONITORAGGIO E CLASSIFICAZIONE: ACQUE SOTTERRANEE

4.1 ORGANIZZAZIONE DEL MONITORAGGIO

Per le attività di monitoraggio e classificazione dello stato di un corpo idrico sotterraneo è necessaria una preventiva ricostruzione del modello idrogeologico, secondo le indicazioni di cui all’allegato 3, in termini di:

individuazione e parametrizzazione dei principali acquiferi; definizione delle modalità di alimentazione-deflusso-recapito; identificazione dei rapporti tra acque superficiali ed acque sotterranee; individuazione dei punti d’acqua (pozzi, sorgenti, emergenze); determinazione delle caratteristiche idrochimiche; identificazione delle caratteristiche di utilizzo delle acque.

Il modello idrogeologico deve essere periodicamente aggiornato sulla base delle nuove conoscenze e delle attività di monitoraggio. La rilevazione dei dati sullo stato quantitativo e chimico deve essere riferita agli acquiferi individuati.

Il monitoraggio delle acque sotterranee è articolato in una fase conoscitiva iniziale ed una fase di monitoraggio a regime.

La fase conoscitiva iniziale e di base viene effettuata rispettando le indicazioni riportate all’allegato 3.

Il monitoraggio si articola temporalmente in due fasi:

4.1.1 Fase conoscitiva

La prima di caratterizzazione sommaria, propedeutica alla sotto fase successiva e utile ad una conoscenza dello stato chimico delle acque sotterranee, è finalizzata ad una analisi di inquadramento generale attraverso la ricerca di un gruppo ridotto di parametri chimici, fisici e microbiologici; ciò che consenta tra l’altro l’individuazione delle aree critiche, di quelle potenzialmente soggette a crisi e di quelle naturalmente protette, secondo le indicazioni riportate all’allegato 3.

Se si dispone di serie storiche continuative di dati, purché non antecedenti il 1996, queste possono essere utilizzate in sostituzione o ad integrazione delle analisi previste nella fase iniziale del monitoraggio.

Per la successiva sotto fase, sulla base dei risultati della caratterizzazione sommaria, nonché delle conoscenze acquisite durante tale fase sulla situazione idrogeologica e di antropizzazione del territorio, l’Autorità competente individuerà i punti d’acqua ritenuti significativi per la classificazione preliminare o comunque su quelli di interesse locale va eseguito il monitoraggio per la caratterizzazione dell’acquifero; oltre alle misure quantitative (livello, portata), vanno eseguite le analisi dei "parametri di base" riportati nella Tabella 18.

4.1.2 Fase a regime

Il monitoraggio nella fase a regime ha come scopo l’analisi del comportamento e delle modificazioni nel tempo dei sistemi acquiferi. Sulla base dei risultati della fase conoscitiva e delle conoscenze accumulate dovrà essere individua una rete di punti d’acqua significativi e rappresentativi delle condizioni idrogeologiche, antropiche, di inquinamento in atto, delle azioni di risanamento intraprese su cui compiere un sistematico e periodico monitoraggio chimico e quantitativo secondo i criteri indicati al punto 4.2.

Il monitoraggio quantitativo va eseguito, per le acque utilizzate, dal concessionario o dal gestore, che deve rendere disponibili i dati su opportuno supporto magnetico per l’autorità preposta al controllo.

4.2 INDICATORI DI QUALITÀ ED ANALISI DA EFFETTUARE

4.2.1 Fase iniziale

4.2.1.1 Misure quantitative

Il monitoraggio quantitativo ha come finalità e quella di acquisire le informazioni relative ai vari acquiferi, necessarie per la definizione del bilancio idrico di un bacino. Inoltre dovrà permettere di caratterizzare i singoli acquiferi in termini di potenzialità, produttività e grado di sfruttamento.

Questo tipo di rilevamento è basato sulla determinazione dei seguenti parametri fondamentali:

livello piezometrico; portate delle sorgenti o emergenze naturali delle acque sotterranee.

A discrezione delle autorità competenti potranno essere monitorati altri parametri specifici, scelti in funzione della specificità dei singoli acquiferi e delle attività presenti sul territorio come ad esempio i movimenti verticali del livello del suolo.

I dati desunti dalle attività di monitoraggio dovranno essere opportunamente elaborati dalle regioni al fine di definire e parametrizzare i seguenti indicatori generali, da utilizzare per la classificazione:

morfologia della superficie piezometrica; escursioni piezometriche; variazioni delle direzioni di flusso; entità dei prelievi; variazioni delle portate delle sorgenti o emergenze naturali delle acque sotterranee; variazioni dello stato chimico indotto dai prelievi; movimenti verticali del livello del suolo connesse all’estrazione di acqua dal sottosuolo

4.2.1.2 Misure chimiche

La fase iniziale del monitoraggio dura 24 mesi ed ha la finalità di caratterizzare l’acquifero. Il rilevamento della qualità del corpo idrico sotterraneo è basato sulla determinazione dei "parametri di base" riportati nella Tabella 19. I parametri di tabella evidenziati con il simbolo (o) saranno utilizzati per la classificazione in base a quanto indicato in Tabella 20.

Le autorità competenti devono analizzare i parametri addizionali relativi a inquinanti specifici, individuati in funzione dell’uso del suolo, delle attività presenti sul territorio, in considerazione della vulnerabilità della risorsa e della tutela degli ecosistemi connessi oppure di particolari caratteristiche ambientali. Un lista di tali inquinanti con l’indicazione dei relativi valori di soglia è riportata nella tabella 21.

 

Tabella 19 - Parametri di base (con (o) sono indicati i parametri macrodescrittori utilizzati per la classificazione).

Temperatura (°C)

Potassio (mg/L)

Durezza totale (mg/L CaCO3)

Sodio (mg/L)

Conducibilità elettrica (m S/cm (20°C)) (o)

Solfati (mg/L) come SO4 (o)

Bicarbonati (mg/L)

Ione ammonio (mg/L) come NH4 (o)

Calcio (mg/L)

Ferro (mg/L) (o)

Cloruri (mg/L) (o)

Manganese (mg/L) (o)

Magnesio (mg/L)

Nitrati (mg/L) come NO3 (o)

4.2.2 Fase a regime

Nella fase a regime sulla rete di monitoraggio individuata in base ai risultati della fase conoscitiva iniziale vanno proseguite le misure sui parametri di base precedentemente utilizzati al punto 4.2.1.2. Si ritiene necessario considerare un periodo iniziale di riferimento di almeno cinque anni per poter definire le tendenze evolutive del corpo idrico.

Per le misure chimiche vanno inoltre monitorati tutti quei parametri relativi ad inquinanti inorganici o organici individuati dall’autorità preposta al controllo, in ragione delle condizioni dell’acquifero e della sua vulnerabilità, dell’uso del suolo e delle attività antropiche caratteristiche del territorio.

 

4.3 MISURE

Per quanto riguarda gli aspetti quantitativi, su un numero ridotto di punti significativi appartenenti alle reti di monitoraggio individuate, le misure dovranno essere eseguite con cadenza mensile e sui pozzi, sui piezometri. Le misure sulle sorgenti dovranno essere anche più ravvicinate in ragione dei tempi di esaurimento della sorgente stessa.

Per quanto riguarda le analisi chimiche dovranno essere eseguite, sia nella fase iniziale che per quella a regime, con cadenza semestrale in corrispondenza dei periodi di massimo e minimo deflusso delle acque sotterranee.

 

4.4 CLASSIFICAZIONE

Lo stato ambientale delle acque delle acque sotterranee è definito in base allo stato quantitativo e a quello chimico.

4.4.1 Stato quantitativo

I parametri e i relativi valori numerici di riferimento per la classificazione quantitativa dei corpi idrici sotterranei, sono definiti dalle regioni utilizzando gli indicatori generali elaborati sulla base del monitoraggio secondo i criteri che verranno indicati dall’ANPA, in base alle caratteristiche dell’acquifero (tipologia, permeabilità, coefficienti di immagazinamento) e del relativo sfruttamento (tendenza piezometrica o delle portate, prelievi per vari usi).

Un corpo idrico sotterraneo è in condizioni di equilibrio quando le estrazioni o le alterazioni della velocità naturale di ravvenamento sono sostenibili per lungo periodo (almeno 10 anni): sulla base delle alterazioni misurate o previste di tale equilibrio viene definito lo stato quantitativo.

Lo stato quantitativo dei corpi idrici sotterranei è definito da quattro classi così caratterizzate:

Classe A

L’impatto antropico è nullo o trascurabile con condizioni di equilibrio idrogeologico.
Le estrazioni di acqua o alterazioni della velocità naturale di ravvenamento sono sostenibili sul lungo periodo.

Classe B

L’impatto antropico è ridotto, vi sono moderate condizioni di disequilibrio del bilancio idrico, senza
che tuttavia ciò produca una condizione di sovrasfruttamento, consentendo un uso della risorsa sostenibile sul lungo periodo.

Classe C

Impatto antropico significativo con notevole incidenza dell’uso sulla
disponibilità della risorsa evidenziato da rilevanti modificazioni agli indicatori generali sopraesposti (1).

Classe D

Impatto antropico nullo o trascurabile, ma con presenza di complessi idrogeologici
on intrinseche caratteristiche di scarsa potenzialità idrica.

(1) nella valutazione quantitativa bisogna tener conto anche degli eventuali surplus incompatibili con la presenza di importanti strutture sotterranee preesistenti.

4.4.2 Stato chimico

Le classi chimiche dei corpi idrici sotterranei sono definite secondo il seguente schema:

Classe 1

Impatto antropico nullo o trascurabile con pregiate caratteristiche idrochimiche;

Classe 2

Impatto antropico ridotto e sostenibile sul lungo periodo e con buone caratteristiche idrochimiche

Classe 3

Impatto antropico significativo e con caratteristiche idrochimiche generalmente buone, ma con alcuni segnali di compromissione;

Classe 4

Impatto antropico rilevante con caratteristiche idrochimiche scadenti;

Classe 0 (*)

Impatto antropico nullo o trascurabile ma con particolari facies idrochimiche naturali in concentrazioni al di sopra del valore della classe 3.

(*) per la valutazione dell’origine endogena delle specie idrochimiche presenti dovranno essere considerate anche le caratteristiche chimico-fisiche delle acque.

Ai fini della classificazione chimica si utilizzerà il valore medio, rilevato per ogni parametro di base o addizionale nel periodo di riferimento. Le diverse classi qualitative vengono attribuite secondo lo schema di tabella 20, tenendo anche conto dei parametri e dei valori riportati alla tabella 21. La classificazione è determinata dal valore di concentrazione peggiore riscontrato nelle analisi dei diversi parametri di base o dei parametri addizionali.

 

Tabella 20 - Classificazione chimica in base ai parametri di base (1)

 

Unità di misura

Classe 1

Classe 2

Classe 3

Classe 4

Classe 0 (*)

Conducibilità elettrica

m S/cm(20°C)

<= 400

<= 2500

<= 2500

> 2500

> 2500

Cloruri

mg/L

<= 25

<= 250

<= 250

> 250

> 250

Manganese

m g/L

<= 20

<= 50

<= 50

> 50

> 50

Ferro

m g/L

< 50

< 200

<= 200

> 200

> 200

Nitrati

mg/L di NO3

<= 5

<= 25

<= 50

> 50

 

Solfati

mg/L di SO4

<= 25

<= 250

<= 250

> 250

> 250

Ione ammonio

mg/L di NH4

<= 0,05

<= 0,5

<= 0,5

> 0,5

> 0,5

(1) se la presenza di tali sostanza è di origine naturale, così come appurato dalle regioni o dalle province autonome, verrà automaticamente attribuita la classe 0.

 

 

Tabella 21 - Parametri addizionali

Inquinanti inorganici

mg/L

Inquinanti organici

mg/L

Alluminio

<= 200

Composti alifatici alogenati totali

10

Antimonio

<= 5

di cui:

 

Argento

<= 10

- 1,2-dicloroetano

3

Arsenico

<= 10

Pesticidi totali (1)

0,5

Bario

<= 2000

di cui:

 

Berillio

<= 4

- aldrin

0,03

Boro

<= 1000

- dieldrin

0,03

Cadmio

<= 5

- eptacloro

0,03

Cianuri

<= 50

- eptacloro epossido

0,03

Cromo tot.

<= 50

Altri pesticidi individuali

0,1

Cromo VI

<= 5

Acrilamide

0,1

Ferro

<= 200

Benzene

1

Fluoruri

<= 1500

Cloruro di vinile

0,5

Mercurio

<= 1

IPA totali (2)

0,1

Nichel

<= 20

Benzo(a)pirene

0,01

Nitriti

<= 500

 

 

Piombo

<= 10

 

 

Rame

<= 1000

 

 

Selenio

<= 10

 

 

Zinco

<= 3000

 

 

(1)              in questo parametro sono compresi tutti i composti organici usati come biocidi ( erbici, insetticidi, fungicidi, acaricidi, alghicidi, nematocidi ecc.);

(2)              si intendono in questa classe i seguenti composti specifici: benzo(b)fluorantene, benzo(k)fluorantene, benzo(ghi)perilene, indeno(1,2,3-cd)pirene.

Se la presenza di inquinanti inorganici in concentrazioni superiori a quelle di tabella 21 è di origine naturale verrà attribuita la classe 0 per la quale, di norma, non vengono previsti interventi di risanamento.

La presenza di inquinanti organici o inorganici con concentrazioni superiori a quelli del valore riportato nella tabella 21 determina la classificazione in classe 4.

Se gli inquinanti di tabella 21 non sono presenti o vengono rilevate concentrazione al di sotto della soglia di rilevabilità indicata dai metodi analitici il corpo idrico è classificato a seconda dei risultati relativi ai parametri di tabella 20.

Tranne nel caso della presenza naturale di sostanze inorganiche, il ritrovamento di questi inquinati in concentrazioni significative vicine alla soglia indicata è comunque un segnale negativo di rischio per gli acquiferi interessati. Nei piani di tutela, devono quindi essere comunque adottate misure atte a prevenire un ulteriore peggioramento e a rimuovere le cause di rischio. Devono inoltre essere considerati gli effetti della eventuale interconessione delle acque sotterrane con corpi idrici superficiali di particolare pregio il cui obiettivo ambientale, a causa della persistenza e dei processi di bioaccumulo di alcuni inquinanti, prevede per questi valori di concentrazione più cautelativi.

4.4.3 Stato ambientale delle acque sotterranee

In base alle conoscenze prodotte attraverso le attività di cui al punto 1 e per confronto con le classi di qualità della risorsa definite con le tabelle 20 e 21, verranno quindi classificati i singoli corpi idrici sotterranei in base al loro stato ambientale

.La sovrapposizione delle classi chimiche (classi 1, 2, 3, 4, 0) e quantitative (classi A, B, C, D) definisce lo stato ambientale del corpo idrico sotterraneo così come indicato nella tabella 22 e permette di classificare i corpi idrici sotterranei.

 

Tabella 22 - Stato ambientale (quali-quantitativo) dei corpi idrici sotterranei.

Stato elevato

Stato buono

Stato sufficiente

Stato scadente

Stato particolare

1 – A

1 - B

3 – A

1 – C

0 – A

 

2 - A

3 – B

2 – C

0 – B

 

2 - B

 

3 – C

0 – C

 

 

 

4 – C

0 – D

 

 

 

4 – A

1 – D

 

 

 

4 – B

2 – D

 

 

 

 

3 – D

 

 

 

 

4 – D

In assenza di serie storiche significative di dati dal punto di vista quantitativo in una prima fase la classificazione sarà basata sullo stato chimico delle risorse, ipotizzando, per la parte quantitativa, una classe C.

Qualora i corpi acquiferi individuati presentino al loro interno differenti condizioni dello stato si può procedere ad un ulteriore suddivisione che individui porzioni omogenee o aree discrete a differente stato di qualità sempre sulla base di quanto indicato in Tabella 22.

La Regione, procede alla classificazione cartografica ed alla zonazione dei singoli corpi idrici sotterranei in base al rispettivo "stato". Sempre in base alla suddetta classificazione verranno pianificate le eventuali azioni di risanamento da adottare. Per quanto riguarda gli acquiferi che hanno uno stato naturale particolare pur non dovendo prevedere specifiche azioni di risanamento, deve comunque essere evitato un peggioramento dello stato chimico o un ulteriore impoverimento quantitativo.

Tale classificazione ha carattere temporaneo dovrà essere progressivamente e periodicamente riaggiornata in base al raggiungimento degli obiettivi verificato tramite le attività di monitoraggio previste al punto 4.1.

 

ALLEGATO 2:

CRITERI PER LA CLASSIFICAZIONE DEI CORPI IDRICI A SPECIFICA DESTINAZIONE

SEZIONE A:

Criteri generali e metodologie per il rilevamento delle caratteristiche qualitative e per la classificazione delle acque superficiali destinate alla produzione di acqua potabile.

I seguenti criteri si applicano alle acque dolci superficiali utilizzate o destinate ad essere utilizzate per la produzione di acqua potabile dopo i trattamenti appropriati.

1) Calcolo della conformità e classificazione

Per la classificazione delle acque in una delle categorie A1, A2, A3, di cui alla tabella 1/A, i valori specificati per ciascuna categoria devono essere conformi nel 95% dei campioni ai valori limite specificati nelle colonne I e nel 90% ai valori limite specificati nelle colonne G, quando non sia indicato il corrispondente valore nella colonna I. Per il rimanente 5% o il 10% dei campioni che, secondo i casi, non sono conformi, i parametri non devono discostarsi in misura superiore al 50% dal valore dei parametri in questione, esclusi la temperatura, il pH, l'ossigeno disciolto ed i parametri microbiologici.

2) Campionamento

2.1) Ubicazione delle stazioni di prelievo

Per tutti i laghi naturali ed artificiali e per tutti i corsi d’acqua naturali ed artificiali utilizzati o destinati ad essere utilizzati per l’approvvigionamento idrico potabile - fermo restando quanto previsto nell’allegato 1 - quanto previsto nell’allegato 1. Le stazioni di prelievo dovranno essere ubicate in prossimità delle opere di presa esistenti o previste in modo che i campioni rilevati siano rappresentativi della qualità delle acque da utilizzare

Ulteriori stazioni di prelievo dovranno essere individuate in punti significativi del corpo idrico quando ciò sia richiesto da particolari condizioni locali, tenuto soprattutto conto di possibili fattori di rischio d’inquinamento. I prelievi effettuati in tali stazioni avranno la sola finalità di approfondire la conoscenza della qualità del corpo idrico, per gli opportuni interventi.

2.2) Frequenza minima dei campionamenti e delle analisi di ogni parametro.

 

GRUPPO DI PARAMETRI (°)

 

I

II

III

Frequenza minima annua dei campionamenti e
delle analisi per i corpi idrici da classificare

12

12

12

 

GRUPPO DI PARAMETRI (°)

 

I (*)

II

III

Frequenza minima annua dei campionamenti e
delle analisi per i corpi idrici già classificati

8

8

8

(*) Per le acque della categoria A3 la frequenza annuale dei campionamenti dei parametri del gruppo I deve essere portata a 12.

(°) I parametri dei diversi gruppi comprendono:

PARAMETRI I GRUPPO

pH, colore, materiali totali in sospensione, temperatura, conduttività, odore, nitrati, cloruri, fosfati, COD, DO (ossigeno disciolto), BOD5, ammoniaca.

PARAMETRI II GRUPPO

ferro disciolto, manganese, rame, zinco, solfati, tensioattivi, fenoli, azoto Kjeldhal, coliformi totali e coliformi fecali.

PARAMETRI III GRUPPO

fluoruri, boro, arsenico, cadmio, cromo totale, piombo, selenio, mercurio, bario, cianuro, idrocarburi disciolti o emulsionati, idrocarburi policiclici aromatici, antiparassitari totali, sostanze estraibili con cloroformio, streptococchi fecali e salmonelle.

3) Modalità di prelievo, di conservazione e di trasporto dei campioni

I campioni dovranno essere prelevati, conservati e trasportati in modo da evitare alterazioni che possono influenzare significativamente i risultati delle analisi.

a)   Per il prelievo, la conservazione ed il trasporto dei campioni per analisi dei parametri di cui alla tabella 2/A, vale quanto prescritto, per i singoli parametri, alla colonna G.

b)   Per il prelievo, la conservazione ed il trasporto dei campioni per analisi dei parametri di cui alla tabella 3/A, vale quanto segue:

i prelievi saranno effettuati in contenitori sterili;

qualora si abbia motivo di ritenere che l’acqua in esame contenga cloro residuo, le bottiglie dovranno contenere una soluzione al 10% di sodio tiosolfato, nella quantità di mL 0,1 per ogni 100 mL di capacità della bottiglia, aggiunto prima della sterilizzazione;

le bottiglie di prelievo dovranno avere una capacità idonea a prelevare l’acqua necessaria all’esecuzione delle analisi microbiologiche;

i campioni prelevati, secondo le usuali cautele di asepsi, dovranno essere trasportati in idonei contenitori frigoriferi (4-10°C) al riparo della luce e dovranno, nel più breve tempo possibile, e comunque entro e non oltre le 24 ore dal prelievo, essere sottoposti ad esame.

 

Tabella 1/A: Caratteristiche di qualità per acque superficiali destinate alla produzione di acqua potabile (omissis)

Tab. 2/A : metodi di misura per la determinazione dei valori dei parametri chimici e chimico fisici di cui alla tab. 1/A (omissis)

Tab. 3/A: Metodi di misura per la determinazione dei valori dei parametri microbiologici di cui alla tab. 1/A (omissis)

 

SEZIONE B:

Criteri generali e metodologie per il rilevamento delle caratteristiche qualitative, per la classificazione ed il calcolo della conformità delle acque dolci superficiali idonee alla vita dei pesci salmonicoli e ciprinicoli.

(omissis)

SEZIONE C:

Criteri generali e metodologie per il rilevamento delle caratteristiche qualitative ed il calcolo della conformità delle acque destinate alla vita dei molluschi.

(omissis)

 

ALLEGATO 3:

RILEVAMENTO DELLE CARATTERISTICHE DEI BACINI IDROGRAFICI E ANALISI DELL'IMPATTO ESERCITATO DALL'ATTIVITA' ANTROPICA

Per la redazione dei piani di tutela di cui all’articolo 44, le regioni devono raccogliere ed elaborare i dati relativi alle caratteristiche dei bacini idrografici secondo i criteri di seguito indicati.

A tal fine si ritiene opportuno che le regioni si coordinino, anche con il supporto delle autorità di bacino, per individuare, per ogni bacino idrografico, un Centro di Documentazione cui attribuire il compito di raccogliere, catalogare e diffondere le informazioni relative alle caratteristiche dei bacini idrografici ricadenti nei territori di competenza.
Devono essere in particolare considerati gli elementi geografici, geologici, idrogeologici, fisici, chimici e biologici dei corpi idrici superficiali e sotterranei, nonché quelli socioeconomici presenti nel bacino idrografico di propria competenza.

1 Acque superficiali

1.1 Acquisizione delle conoscenze disponibili

La fase iniziale, finalizzata alla prima caratterizzazione dei bacini idrografici, serve a raccogliere le informazioni relative a:

gli aspetti geografici: estensione geografica ed estensione altitudinale, latitudinale e longitudinale; le condizioni geologiche: informazioni sulla tipologia dei substrati, almeno in relazione al contenuto calcareo, siliceo ed organico; le condizioni idrologiche: bilanci idrici, compresi i volumi, i regimi di flusso nonché i trasferimenti e le deviazioni idriche e le relative fluttuazioni stagionali e, se del caso, la salinità; le condizioni climatiche: tipo di precipitazioni e, ove possibile, evaporazione ed evapotraspirazione;

Tali informazioni sono integrate con gli aspetti relativi a:

caratteristiche socioeconomiche – utilizzo del suolo, industrializzazione dell’area, ecc. individuazione e tipizzazione di aree naturali protette. eventuale caratterizzazione faunistica e vegetazionale dell’area del bacino idrografico;

1.2 Archivio anagrafico dei corpi idrici

Per ciascun corpo idrico (nel caso di corsi d’acqua solo quelli con bacino superiore a 10 km2), anche se non significativo ai sensi dell’allegato 1, dovrà essere predisposta una scheda informatizzata che contenga:

·       i dati derivati dalle attività di cui al punto 1.1. le informazioni relative all’impatto esercitato dalle attività antropiche sullo stato delle acque superficiali all’interno di ciascun bacino idrografico. Tale esame dovrà riguardare in particolare i seguenti aspetti:

·       stima dell’inquinamento da fonte puntuale da effettuare in primo luogo sulla base del catasto degli scarichi, se questo è aggiornato almeno al 1996. In mancanza di tali dati (o in presenza solo di informazioni anteriori al 1996) si dovranno utilizzare stime fatte sulla base di altre informazioni e di indici di tipo statistico (esempio: dati camere di commercio relativi agli insediamenti, agli addetti per codice NACE e indici di emissione per codice NACE ); stima dell’inquinamento da fonte diffusa; dati sulla l’estrazione delle acque (nel caso di acque dolci) e sui relativi usi (in mancanza di misure saranno usate stime effettuate in base a parametri statistici); analisi delle altre incidenze antropiche sullo stato delle acque.

per i corpi idrici individuati come significativi ai sensi dell’allegato1 devono essere riportati i dati derivanti dalle azioni di monitoraggio e classificazione di cui all’allegato stesso.

2 Acque sotterranee

2.1 Acquisizione delle conoscenze disponibili

La fase conoscitiva ha come scopo principale la caratterizzazione qualitativa degli acquiferi. Deve avere come risultato:

definire lo stato attuale delle conoscenze relative agli aspetti quantitativi e qualitativi delle acque sotterranee; costituire una banca dati informatizzata dei dati idrogeologici e idrochimici; localizzare i punti d’acqua sotterranea potenzialmente disponibili per le misure; ricostruire il modello idrogeologico, con particolare riferimento ai rapporti di eventuale intercomunicazione tra i diversi acquiferi e tra le acque superficiali e le acque sotterranee.

Le informazioni da raccogliere devono essere relative ai seguenti elementi:

studi precedentemente condotti (idrogeologici, geotecnici, geofisici, geomorfologici, ecc) con relativi eventuali elaborati cartografici (carte geologiche, sezioni idrogeologiche, piezometrie, carte idrochimiche, ecc); dati relativi ai pozzi e piezometri, quali: ubicazione, stratigrafie, utilizzatore (pubblico o privato), stato di attività (attivo, in disuso, cementato); dati relativi alle sorgenti quali: ubicazione, portata, utilizzatore (pubblico o privato), stato di attività (attiva, in disuso, ecc.); dati relativi ai valori piezometrici; dati relativi al regime delle portate delle sorgenti; dati esistenti riguardanti accertamenti analitici sulla qualità delle acque relative a sorgenti, pozzi e piezometri esistenti; reticoli di monitoraggio esistenti delle acque sotterranee.

Devono essere inoltre considerati tutti quegli elementi addizionali suggeriti dalle condizioni locali di insediamento antropico o da particolari situazioni geologiche e geochimiche, nonché della vulnerabilità e rischio della risorsa. Dovranno inoltre essere valutate, se esistenti, le indagini relative alle biocenosi degli ambienti sotterranei.

Le azioni conoscitive devono essere accompagnate da tutte quelle iniziative necessarie ad acquisire tutte le informazioni e le documentazioni in materia presenti presso gli enti che ne dispongono, i quali ne dovranno garantire l’accesso.

Sulla base delle informazione raccolte, delle conoscenze a scala generale e degli studi precedenti, verrà ricostruita la geometria del principali corpi acquiferi presenti evidenziando la reciproca eventuale intercomunicazione compresa quella con le acque superficiali, la parametrizzazione (laddove disponibile) e le caratteristiche idrochimiche, e dove presenti, quelle biologiche.

La caratterizzazione degli acquiferi sarà revisionata sulla base dei risultati della gestione della rete di monitoraggio effettuato in base alle indicazioni riportate all’allegato 1.

La ricostruzione idrogeologica preliminare dovrà quindi permettere la formulazione di un primo modello concettuale, intendendo con questo termine una schematizzazione idrogeologica semplificata del sottosuolo e una prima parametrizzazione degli acquiferi. In pratica devono essere qui riassunte le proprietà geologiche, le caratteristiche idrogeologiche del sistema, con particolare riferimento ai meccanismi di ricarica degli acquiferi ed ai rapporti tra le falde, i rapporti esistenti tra acque superficiali e acque sotterranee, nonché alle caratteristiche qualitative delle acque sotterranee.

I dati così raccolti dovranno avere un dettaglio rappresentabile significativamente almeno alla scala 1:100.000.

2.2 Archivio anagrafico dei punti d’acqua

Deve essere istituito un catasto anagrafico debitamente codificato al fine di disporre di un data-base aggiornato dei punti d’acqua esistenti (pozzi, piezometri, sorgenti e altre emergenze della falda come fontanili, ecc.) e dei nuovi punti realizzati. A ciascun punto d’acqua dovrà essere assegnato un numero di codice univoco stabilito in base alle modalità di codifica fornite dall’ANPA.

Per quanto riguarda le sorgenti andranno codificate tutte quelle utilizzate e comunque quelle che presentano una portata media superiore a 10 L/s e quelle di particolare interesse ambientale.

Per le nuove opere è fatto obbligo all’Ente competente di verificare all’atto della domanda di ricerca e sfruttamento della risorsa idrica sotterranea, l’avvenuta assegnazione del codice.

Tutte le opere codificate dovranno quindi essere provviste in loco di apposita targhetta inamovibile ed inalterabile, che riporti l’intero codice, la quota topografica (m s.l.m.) ed eventualmente il punto di riferimento.

In assenza di tale codice i rapporti di prova relativi alla qualità delle acque, non potranno essere accettati dalla Pubblica Amministrazione.

Inoltre per ciascun punto d’acqua dovrà essere predisposta una scheda informatizzata che contenga i dati relativi alle caratteristiche geografiche, anagrafiche, idrogeologiche, strutturali, idrauliche e funzionali derivate dalle analisi conoscitive di cui al punto 1.

Le schede relative ai singoli punti d’acqua, assieme alle analisi conoscitive di cui al punto 1 ed a quelle che potranno essere raccolte per ciascun punto d’acqua dovranno contenere poi le informazioni relative a:

le caratteristiche chimico fisiche dei singoli complessi idrogeologici e del loro grado di sfruttamento, utilizzando i dati a vario titolo in possesso dei vari Enti (analisi chimiche effettuate dai laboratori pubblici, autodenunce del sollevato etc.) nonché stime delle direzioni e delle velocità di scambio dell’acqua fra il corpo idrico sotterraneo ed i sistemi superficiali connessi. l’impatto esercitato dalle attività umane sullo stato delle acque sotterranee all’interno di ciascun complesso idrogeologico.

Tale esame dovrà riguardare i seguenti aspetti:

stima dell’inquinamento da fonte puntuale (così come indicato al punto relativo alle acque superficiali); stima dell’inquinamento da fonte diffusa; dati derivanti dalle misure relative all’estrazione delle acque; stima del ravvenamento artificiale; analisi delle altre incidenze antropiche sullo stato delle acque.

3 Modalità di elaborazione, gestione e diffusione dei dati

Le Regioni organizzeranno un proprio Centro di Documentazione che curerà l’accatastamento dei dati e la relativa elaborazione, gestione e diffusione.

Tali dati sono organizzati secondo i criteri stabiliti nel decreto di cui all’articolo 3 comma 7 e devono periodicamente essere aggiornati con i dati prodotti dal monitoraggio secondo le indicazioni di cui all’allegato 1.

Le misure quantitative e qualitative dovranno essere organizzate secondo quanto previsto nel decreto attuativo relativo alla standardizzazione dei dati. A tali modalità si dovranno anche attenere i soggetti tenuti a predisporre i protocolli di garanzia e di qualità.

L’interpretazione dei dati relativi alle acque sotterranee in un acquifero potrà essere espressa in forma sintetica mediante: tabelle, grafici, diagrammi, serie temporali, cartografie tematiche, elaborazioni statistiche, ecc.

Il Centro di documentazione annualmente curerà la redazione di un rapporto sull’evoluzione quali-quantitativa dei complessi idrogeologici monitorati e renderà disponibili tutti i dati e le elaborazioni effettuate, a tutti gli interessati.

Compito del Centro di documentazione sarà inoltre la redazione di carte di sintesi delle aree su cui esiste un vincolo riferito alle acque sotterranee, carte di vulnerabilità e rischio delle acque sotterranee.

Una volta ultimata la presentazione finale dei documenti e degli elaborati grafici ed informatizzati del prodotto, saranno individuati i canali più idonei alla sua diffusione anche mediante rapporti di sintesi e seminari, a tal scopo verrà predisposto un piano contenente modalità e tempi dell’attività di diffusione.

Allo scopo dovrà essere prevista da parte del Centro di documentazione la disponibilità degli stessi tramite sistemi geografici informatizzati (GIS) disponibili su reti multimediali.

La scala delle elaborazioni cartografiche dovrà essere di almeno 1:100.000 salvo necessità di superiore dettaglio.

 

ALLEGATO 4:

CONTENUTI DEI PIANI DI TUTELA DELLA ACQUE

Parte A.

I Piani di tutela delle acque devono contenere:

1. Descrizione generale delle caratteristiche del bacino idrografico ai sensi dell’articolo 42 e dell’allegato 3. Tale descrizione include:

1.1 Per le acque superficiali:

rappresentazione cartografica dell’ubicazione e del perimetro dei corpi idrici con indicazione degli ecotipi presenti all’interno del bacino idrografico e dei corpi idrici di riferimento così come indicato all’allegato 1.

1.2 Per le acque sotterranee:

rappresentazione cartografica della geometria e delle caratteristiche litostratografiche e idrogeologiche delle singole zone; suddivisione del territorio in zone acquifere omogenee;

2. Sintesi delle pressioni e degli impatti significativi esercitati dall’attività antropica sullo stato delle acque superficiali e sotterranee. Vanno presi in considerazione:

stima dell’inquinamento in termini di carico ( sia in tonnellate / anno che in tonnellate / mese) da fonte puntuale (sulla base del catasto degli scarichi) stima dell’impatto da fonte diffusa, in termine di carico, con sintesi delle utilizzazioni del suolo; stima delle pressioni sullo stato quantitativo delle acque, derivanti dalle concessioni e dalle estrazioni esistenti; analisi di altri impatti derivanti dall’attività umana sullo stato delle acque;

3. Elenco e rappresentazione cartografica delle aree indicate al Titolo III, capo I, in particolare per quanto riguarda le aree sensibili e le zone vulnerabili così come risultano dalla eventuale reidentificazione fatta dalle regioni;

4. Mappa delle reti di monitoraggio istituite ai sensi dell’articolo 43 e dell’allegato 1, ed una rappresentazione in formato cartografico dei risultati dei programmi di monitoraggio effettuati in conformità a tali disposizioni per lo stato delle:

4.1 acque superficiali (stato ecologico e chimico);

4.2 acque sotterranee (stato chimico e quantitativo);

4.3 aree a specifica tutela;

5. Elenco degli obiettivi di qualità definiti a norma dell’articolo 4 per le acque superficiali, le acque sotterranee, includendo in particolare l’identificazione dei casi dove si é ricorso alle disposizioni dell’articolo 5, commi 4 e 5 e le associate informazioni richieste in conformità al suddetto articolo;

6 Sintesi del programma o programmi di misure adottati che deve contenere:

6.1 programmi di misure per il raggiungimento degli obiettivi di qualità ambientale dei corpi idrici di cui all’articolo 5;

6. 2 specifici programmi di tutela e miglioramento previsti ai fini del raggiungimento dei singoli obiettivi di qualità per le acque a specifica destinazione di cui al titolo II capo II;

6. 3 misure adottate ai sensi del Titolo III capo I;

6. 4 misure adottate ai sensi del titolo III capo II, in particolare :

sintesi della pianificazione del bilancio idrico di cui all’articolo 22; misure di risparmio e riutilizzo di cui agli articoli 25 e 26;

6. 5 misure adottate ai sensi titolo III del capo III, in particolare:

disciplina degli scarichi; definizione delle misure per la riduzione dell’inquinamento degli scarichi da fonte puntuale; specificazione dei casi particolari in cui sono stati autorizzati scarichi ai sensi dell’articolo 30;

6. 6 informazioni su misure supplementari ritenute necessarie al fine di soddisfare gli obiettivi ambientali definiti;

6. 7 informazioni delle misure intraprese al fine di evitare l’aumento dell’inquinamento delle acque marine in conformità alle convenzioni internazionali;

6. 8 relazione sulle iniziative e misure pratiche adottate per l’applicazione del principio del recupero dei costi dei servizi idrici ai sensi della legge 5 gennaio 1994 n. 36 e sintesi dei piani finanziari predisposti ai sensi dell’articolo 11 della stessa legge;

7.1 Sintesi dei risultati dell’analisi economica, delle misure definite per la tutela dei corpi idrici e per il perseguimento degli obiettivi di qualità, anche allo scopo di una valutazione del rapporto costi benefici delle misure previste e delle azioni relative all’estrazione e distribuzione delle acque dolci, della raccolta e depurazione e riutilizzo delle acque reflue.

7. 2 Sintesi dell’analisi integrata dei diversi fattori che concorrono a determinare la stato di qualità ambientale dei corpi idrici, al fine di coordinare le misure di cui al punto 6.3 e 6.4 per assicurare il miglior rapporto costi benefici delle diverse misure; in particolare vanno presi in considerazione quelli riguardanti la situazione quantitativa del corpo idrico in relazione alle concessioni in atto e la situazione qualitativa in relazione al carico inquinante che viene immesso nel corpo idrico.

8. relazione sugli eventuali ulteriori programmi o piani più dettagliati adottati per determinati sottobacini.

Parte B.

Il primo aggiornamento del Piano di tutela delle acque tutti i successivi aggiornamenti dovranno inoltre includere:

1. sintesi di eventuali modifiche o aggiornamenti della precedente versione del Piano di tutela delle acque, incluso una sintesi delle revisioni da effettuare ai sensi dell’articolo 5 comma 7, e degli articoli 18 e 19;

2. valutazione dei progressi effettuati verso il raggiungimento degli obiettivi ambientali, con la rappresentazione cartografica dei risultati del monitoraggio per il periodo relativo al piano precedente, nonché la motivazione per il mancato raggiungimento degli obiettivi ambientali;

3. sintesi e illustrazione delle misure previste nella precedente versione del Piano di gestione dei bacini idrografici non realizzate;

4. sintesi di eventuali misure supplementari adottate successivamente alla data di pubblicazione della precedente versione del Piano di tutela del bacino idrografico.

 

ALLEGATO 5:

LIMITI DI EMISSIONE DEGLI SCARICHI IDRICI

1 - Scarichi in corpi d'acqua superficiali

1.1 - Acque reflue urbane

Gli scarichi provenienti da impianti di trattamento delle acque reflue urbane di cui all’articolo 31, comma 3, se già esistenti alla data di entrata in vigore del presente decreto devono conformarsi, secondo le cadenze temporali indicate al medesimo articolo, alle norme di emissione riportate nella tabella 1 e, nel caso di recapito in aree sensibili, anche alla tabella 2. Gli scarichi provenienti da impianti di trattamento delle acque reflue urbane non ancora esistenti alla data di entrata in vigore del presente decreto devono essere conformi alle medesime disposizioni dalla loro entrata in esercizio.

Devono inoltre essere rispettati, nel caso di fognature miste che raccolgono scarichi di insediamenti industriali, i limiti di tabella 3 ovvero quelli stabiliti dalle regioni ai sensi dell’articolo 28 comma 2.

Deve essere rispettato o il limite di concentrazione o la percentuale di riduzione, intesa in rapporto con il carico affluente all’impianto; l’opzione relativa alla percentuale di riduzione deve garantire la protezione del corpo idrico e il raggiungimento dell’obiettivo di qualità 2.

I valori limite della tabella 1 non si applicano agli scarichi di acque reflue urbane di cui all’articolo 31, comma 2. Tali scarichi devono essere sottoposti ad un trattamento appropriato che garantisca la conformità dei corpi idrici recettori ai relativi obiettivi di qualità o la tutela delle acque sotterranee nel caso di scarico nel suolo; eventuali limiti a tali scarichi sono definiti dalle regioni.

Per gli scarichi recapitanti in aree sensibili, così come individuate all’articolo 18, deve essere previsto un trattamento più spinto che raggiunga, per i parametri azoto totale e fosforo totale, le concentrazioni o le percentuali di riduzione del carico inquinante indicate nella tabella 2. Tali limiti vanno raggiunti per uno od entrambi i parametri a seconda della la situazione locale.

 

Tabella 1 - Limiti di emissione per gli impianti di acque reflue urbane.

Potenzialità impianto in A.E. (abitanti equivalenti)

2.000 – 10.000

>10.000

Parametri (media giornaliera) (1)

Concentrazione

% di riduzione

Concentrazione

% di riduzione

BOD5 (senza nitrificazione) mg/L (2)

25

70-90 (5)

25

80

COD mg/L (3)

125

75

125

75

Solidi Sospesi mg/L (4)

35 (5)

90 (5)

35

90

1. Le analisi sugli scarichi provenienti da lagunaggio o fitodepurazione devono essere effettuati su campioni filtrati, la concentrazione di solidi sospesi non deve superare i 150 mg/L.

2. La misurazione deve essere fatta su campione omogeneizzato non filtrato, non decantato. Si esegue la determinazione dell’ossigeno disciolto anteriormente e posteriormente ad un periodo di incubazione di 5 giorni a 20°C * ± 1°C, in completa oscurità, con aggiunta di inibitori di nitrificazione.

3. La misurazione deve essere fatta su campione omogeneizzato non filtrato, non decantato con bicromato di potassio.

4. La misurazione deve essere fatta mediante filtrazione di un campione rappresentativo attraverso membrana filtante con porosità di 0,45 m ed essicazione a 105°C con conseguente calcolo del peso, oppure mediante centrifugazione per almeno 5 minuti (accelerazione media di 2800-3200 g), essiccazione a 105°C e calcolo del peso.

5. Ai sensi dell’articolo 31 comma 6, la percentuale di riduzione del BOD5 non deve essere inferiore a 40. Per i solidi sospesi la concentrazione non deve superare i 70 mg/L e la percentuale di abbattimento non deve essere inferiore al 70%.

 

Tabella 2 - Limiti di emissione per gli impianti di acque reflue urbane recapitanti in aree sensibili.

Potenzialità impianto in A.E. (abitanti equivalenti)

10.000 – 100.000

>100.000

Parametri (media annua)

Concentrazione

% di riduzione

Concentrazione

% di riduzione

Fosforo totale (P mg/L) (1)

2

80

1

80

Azoto totale (N mg/L) (2)(3)

15

70-80

10

70-80

(1) Il metodo di riferimento per la misurazione è la spettrofotometria di assorbimento molecolare.

(2) Per azoto totale si intende la somma dell’azoto Kjeldahl (N. organico+NH3) + azoto nitrico + azoto nitroso. Il metodo di riferimento per la misurazione è la spettrofotometria di assorbimento molecolare.

(3) Per l’azoto totale, in alternativa al riferimento alla concentrazione media annua di 10 mg/L, purché si ottenga un analogo livello di protezione ambientale, può essere preso come limite da non superare la concentrazione media giornaliera di azoto totale pari a 20 mg/L per tutti i campioni con una temperatura dell’effluente nel reagente biologico pari o superiore a 12° gradi centigradi. In sostituzione della condizione concernete la temperatura è possibile applicare un tempo operativo limitato, che tenga conto delle condizioni climatiche.

Il punto di prelievo per i controlli, ai sensi dell’articolo 28 comma 3, deve essere sempre il medesimo e deve essere posto immediatamente a monte del punto di immissione nel corpo recettore. Nel caso di controllo della percentuale di riduzione dell’inquinante, deve essere previsto un punto di prelievo anche all’entrata dell’impianto di trattamento. Di tali esigenze si dovrà tener conto anche nella progettazione e modifica degli impianti, in modo da agevolare l’esecuzione delle attività di controllo.

Per il controllo della conformità dei limiti indicati nelle tabelle 1 e 2 e di altri limiti definiti in sede locale vanno considerati i campioni medi ponderati nell’arco di 24 ore.

Per i parametri di tabella 1 il numero di campioni, ammessi su base annua, la cui media giornaliera può superare i limiti tabellari, è definito in rapporto al numero di misure come da schema seguente.

Campioni prelevati
durante l’anno

numero massimo
consentito di
campioni non conformi

Campioni prelevati
durante l’anno

numero massimo
consentito di
campioni non conformi

4 - 7

1

172 - 187

14

8 - 16

2

188 - 203

15

17 - 28

3

204 - 219

16

29 - 40

4

220 - 235

17

41 - 53

5

236 - 251

18

54 - 67

6

252 - 268

19

68 - 81

7

269 - 284

20

82 - 95

8

285 - 300

21

96 - 110

9

301 - 317

22

111 - 125

10

318 - 334

23

126 - 140

11

335 - 350

24

141 - 155

12

351 - 365

25

156 - 171

13

 

 

In particolare si precisa che, per i parametri sotto indicati, i campioni che risultano non conformi, affinché lo scarico sia considerato in regola, non possono comunque superare le concentrazioni riportate in tabella 1 oltre la percentuale sotto indicata:

BOD5: 100%

COD: 100%

Solidi Sospesi 150%

Il numero minimo annuo di campioni per i parametri di cui alle tabelle 1 e 2 è fissato in base alla dimensione dell’impianto di trattamento e va effettuato dall’autorità competente ovvero dal gestore qualora garantisca un sistema di rilevamento e di trasmissione dati all’autorità di controllo, ritenuto idoneo da quest’ultimo, con prelievi ad intervalli regolari nel corso dell’anno, in base allo schema seguente.

potenzialità impianto

numero campioni

da 2.000 a 9.999 A.E.:

12 campioni il primo anno e 4 negli anni successivi, purché lo scarico sia conforme;
se uno dei 4 campioni non è conforme,
nell’anno successivo devono essere prelevati 12 campioni

da 10.000 a 49.999 A.E.:

12 campioni

oltre 50.000 A.E.:

24 campioni

 

 

I gestori degli impianti devono inoltre assicurare un sufficiente numero di autocontrolli (almeno uguale a quello del precedente schema) sugli scarichi dell’impianto di trattamento e sulle acque in entrata.

L’autorità competente per il controllo deve altresì verificare, con la frequenza minima di seguito indicata, il rispetto dei limiti indicati nella tabella 3. I parametri di tabella 3 che devono essere controllati sono solo quelli che le attività presenti sul territorio possono scaricare in fognatura.

potenzialità impianto

numero controlli

da 2.000 a 9.999 A.E.:

1 volta l’anno

da 10.000 a 49.999 A.E.:

3 volte l’anno

oltre 50.000 A.E.:

6 volte l’anno

Valori estremi per la qualità delle acque in questione non sono presi in considerazione se essi sono il risultato di situazioni eccezionali come quelle dovute a piogge abbondanti.

I risultati delle analisi di autocontrollo effettuate dai gestori degli impianti devono essere messi a disposizione degli enti preposti al controllo. I risultati dei controlli effettuati dall’autorità competente e di quelli effettuati a cura dei gestori devono essere archiviati su idoneo supporto informatico secondo le indicazioni riportate nel decreto attuativo di cui all’articolo 3 comma 7.

1.2 Acque reflue industriali.

Gli scarichi di acque reflue industriali in acque superficiali, devono essere conformi ai limiti di emissione indicati nella successiva tabella 3 o alle relative norme disposte dalle regioni ai sensi dell’articolo 28 comma 2.

I limiti indicati in tabella 3, per le acque reflue industriali, sono riferiti ad un campione medio prelevato nell’arco di tre ore. L’autorità preposta al controllo, al fine di verificare le fasi più significative del ciclo produttivo, può effettuare il campionamento su tempi più lunghi.

Ai sensi di quanto disposto dall’articolo 28 comma 2, tenendo conto del carico massimo ammissibile, ove definito, della persistenza, bioaccumulabilità e della pericolosità delle sostanze, nonché della possibilità di utilizzare le migliori tecniche disponibili, le regioni stabiliscono opportuni limiti di emissione in massa nell’unità di tempo (kg/mese).

Per cicli produttivi specificati nella tabella 3/A devono essere rispettati i limiti di emissione in massa per unità di prodotto o di materia prima di cui alla stessa tabella. Per gli stessi cicli produttivi valgono altresì i limiti di concentrazione indicati nelle tabella 3 allo scarico finale.

Tra i limiti di emissione in termini di massa per unità di prodotto, indicati nella tabella 3/A, e quelli stabiliti dalle regioni, ai sensi dell’articolo 28, comma 2, in termini di massa nell’unità di tempo valgono quelli più cautelativi.

2 Scarichi sul suolo

Nei casi previsti articolo 28 comma 2, gli scarichi sul suolo devono rispettare i limiti previsti nella tabella 4.

Il punto di prelievo per i controlli è immediatamente a monte del punto di scarico sul suolo. Per gli impianti di depurazione naturale (lagunaggio, fitodepurazione) il punto di scarico corrisponde è quello all’uscita dall’impianto.

I limiti indicati in tabella 4, sono riferiti, per gli insediamenti produttivi, ad un campione medio prelevato nell’arco di tre ore. L’autorità preposta al controllo qualora tale arco temporale risultasse inadeguato all’ottenimento di un campione significativo, può, effettuare il campionamento su tempi più lunghi.

Per gli impianti di trattamento delle acque reflue urbane si fa riferimento a un campione medio ponderato nell’arco di 24 ore.

Le distanze dal più vicino corpo idrico superficiale oltre le quali è permesso lo scarico sul suolo è rapportato al volume delle scarico stesso secondo il seguente schema:

a) per quanto riguarda gli scarichi di acque reflue urbane:

2.500 metri

per scarichi con portate giornaliere medie inferiori a 5000 m3

5.000 metri

per scarichi con portate giornaliere medie tra 5001 e 10.000 m3

b) per quanto riguarda gli scarichi di acque reflue industriali.

2.500 metri

per scarichi con portate giornaliere medie inferiori a 500 m3

5.000 metri

per scarichi con portate giornaliere medie tra 501 e 2.000 m3

Gli scarichi aventi portata maggiore di quelle su indicate devono in ogni caso essere convogliati in corpo idrico superficiale, in fognatura o destinate al riutilizzo.

Per gli scarichi delle acque reflue urbane valgono gli stessi obblighi di controllo e di autocontrollo previsti per gli scarichi in acque superficiali.

L’autorità competente per il controllo deve verificare, con la frequenza minima di seguito indicata, il rispetto dei limiti indicati nella tabella 4. I parametri di tabella 4 da controllare sono solo quelli che le attività presenti sul territorio possono scaricare in fognatura.

volume scarico

numero controlli

sino a 2.000 m3 al giorno

4 volte l’anno

oltre a 2.000 m3 al giorno

8 volte l’anno

2.1 Sostanze per cui esiste il divieto di scarico

Restano fermi i divieti di scarico sul suolo e nel sottosuolo delle seguenti sostanze:

·       composti organo alogenati e sostanze che possono dare origine a tali composti nell’ambiente idrico;

·       composti organo fosforici;

·       composti organo stannici;

·       sostanze che hanno potere cancerogeno, mutageno e teratogeno in ambiente idrico o in concorso dello stesso;

·       mercurio e i suoi composti;

·       cadmio e i suoi composti;

·       oli minerali persistenti e idrocarburi di origine petrolifera persistenti;

·       cianuri;

·       materie persistenti che possono galleggiare, restare in sospensione o andare a fondo e che possono disturbare ogni tipo di utilizzazione delle acque.

Persiste inoltre il divieto di scarico diretto nelle acque sotterranee, in aggiunta alle sostanze su elencate, di:

1:

zinco

rame

nichel

cromo

piombo

selenio

arsenico

antimonio

molibdeno

titanio

 

stagno

bario

berillio

boro

uranio

vanadio

cobalto

tallio

tellurio

argento

2: Biocidi e loro derivati non compresi nell’elenco del paragrafo precedente;

3: Sostanze che hanno un effetto nocivo sul sapore ovvero sull’odore dei prodotti consumati dall’uomo derivati dall’ambiente idrico, nonché i composti che possono dare origine a tali sostanze nelle acque;

4: Composti organosilicati tossici o persistenti e che possono dare origine a tali composti nelle acque ad eccezione di quelli che sono biologicamente innocui o che si trasformano rapidamente nell’acqua in sostanze innocue;

5: Composti inorganici del fosforo e fosforo elementare;

6: Oli minerali non persistenti ed idrocarburi di origine petrolifera non persistenti;

7: Cianuri, fluoruri;

8: Sostanze che influiscono sfavorevolmente sull’equilibrio dell’ossigeno, in particolare ammoniaca e nitriti.

3. Indicazioni generali

I punti di scarico degli impianti i trattamento delle acque reflue urbane devono essere scelti, per quanto possibile, in modo da ridurre al minimo gli effetti sulle acque recettrici.

Tutti gli impianti dovranno avere obbligatoriamente un trattamento di disinfezione, sia per far fronte alle eventuali emergenze relative a situazioni di rischio sanitario sia per garantire il raggiungimento degli obiettivi di qualità ambientali ovvero gli usi esistenti per il corpo idrico recettore.

In sede di approvazione del progetto dell’impianto di trattamento delle acque reflue urbane l’autorità competente dovrà verificare che l’impianto sia in grado di garantire che l’emissione dell’azoto ammoniacale (espresso come N) non superi del 30% il valore dell’azoto totale (espresso come N). In tale sede l’autorità competente fisserà il limite opportuno relativo al parametro “Escherichia coli” espresso come UFC/100mL.

I trattamenti appropriati devono essere individuati con l’obiettivo di:

a)   rendere semplice la manutenzione e la gestione;

b)   essere in grado di sopportare adeguatamente forti variazioni orarie del carico idraulico e organico;

c)   minimizzare i costi gestionali. Questa tipologia di trattamento può equivalere ad un trattamento primario o ad un trattamento secondario a seconda della soluzione tecnica adottata e dei risultati depurativi raggiunti.

Per tutti gli insediamenti con popolazione equivalente compresa tra 50 e 2000 A.E., si ritiene auspicabile il ricorso a tecnologie di depurazione naturale quali il lagunaggio o la fitodepurazione, o tecnologie come i filtri percolatori o impianti ad ossidazione totale.

Peraltro tali trattamenti possono essere considerati adatti se opportunamente dimensionati, al fine del raggiungimento dei limiti della tabella 1, anche tutti gli insediamenti in cui la popolazione equivalente fluttuante sia superiore al 30% della popolazione residente e laddove le caratteristiche territoriali e climatiche lo consentano. Tali trattamenti si prestano, per gli insediamenti di maggiori dimensioni con popolazione equivalente compresa tra i 2000 e i 25000 A.E., anche a soluzioni integrate con impianti a fanghi attivi o a biomassa adesa, a valle del trattamento, con funzione di affinamento.

Possono essere considerati come trattamenti appropriati i sistemi di smaltimento per scarichi di insediamenti civili provenienti da agglomerati con meno di 50 A.E., come quelli già indicati nella delibera del Comitato dei ministri per la tutela delle acque dall’inquinamento del 4 febbraio 1977.

4. Metodi di campionamento ed analisi

Fatto salvo quanto diversamente specificato nelle tabelle 1, 2, 3, 4 circa i metodi analitici di riferimento, rimangono valide le procedure di controllo, campionamento e misura definite dalle normative in essere prima dell’entrata in vigore del presente decreto. Le metodiche di campionamento ed analisi saranno aggiornate dall’ANPA.

 

Tabella 3 - Valori limiti di emissione in acque superficiali e in fognatura.

Numero
parametro

Sostanze

unità di
misura

Scarico in
acque superficiali

Scarico in
pubblica fognatura (*)

1

pH

 

5,5 - 9,5

5,5 - 9,5

2

temperatura

(1)

(1)

3

colore

 

non percettibile
con diluizione 1:20

non percettibile
con diluizione 1:40

4

odore

 

non deve essere
causa di molestie

non deve essere
causa di molestie

5

materiali grossolani

 

assenti

assenti

6

Solidi sospesi totali (2)

mg/L

80

200

7

BOD5 (come O2) (2)

mg/L

40

250

8

COD (come O2) (2)

mg/L

160

500

9

Alluminio

mg/L

1

2

10

Arsenico

mg/L

0,5

0,5

11

Bario

mg/L

20

-

12

Boro

mg/L

2

4

13

Cadmio

mg/L

0,02

0,02

14

Cromo totale

mg/L

2

4

15

Cromo VI

mg/L

0,2

0,2

16

Ferro

mg/L

2

4

17

Manganese

mg/L

2

4

18

Mercurio

mg/L

0,005

0,005

19

Nichel

mg/L

2

4

20

Piombo

mg/L

0,2

0,3

21

Rame

mg/L

0,1

0,4

22

Selenio

mg/L

0,03

0,03

23

Stagno

mg/L

10

 

24

Zinco

mg/L

0,5

1

25

Cianuri totali (come CN)

mg/L

0,5

1

26

Cloro attivo libero

mg/L

0,2

0,3

27

Solfuri (come S)

mg/L

1

2

28

Solfiti (come SO2)

mg/L

1

2

29

Solfati (come SO3) (3)

mg/L

1000

1000

30

Cloruri (3)

mg/L

1200

1200

31

Fluoruri

mg/L

6

12

32

Fosforo totale (come P) (2)

mg/L

10

10

33

Azoto ammoniacale (come NH4) (2)

mg/L

15

30

34

Azoto nitroso (come N) (2)

mg/L

0,6

0,6

35

Azoto nitrico (come N) (2)

mg/L

20

30

36

Grassi e olii animali/vegetali

mg/L

20

40

37

Idrocarburi totali

mg/L

5

10

38

Fenoli

mg/L

0,5

1

39

Aldeidi

mg/L

1

2

40

Solventi organici aromatici

mg/L

0,2

0,4

41

Solventi organici azotati (4)

mg/L

0,1

0,2

42

Tensioattivi totali

mg/L

2

4

43

Pesticidi fosforati

mg/L

0,10

0,10

44

Pesticidi totali (esclusi i fosforati) (5)

tra cui:

mg/L

0,05

0,05

45

- aldrin

mg/L

0,01

0,01

46

- dieldrin

mg/L

0,01

0,01

47

- endrin

mg/L

0,002

0,002

48

- isodrin

mg/L

0,002

0,002

49

Solventi clorurati (5)

mg/L

1

1

50

Escherichia coli (6)

UFC/100mL

nota

 

51

Saggio di tossicità acuta (7)

 

il campione non è accettabile quando dopo 24 ore il numero degli organismi immobili
è uguale o maggiore
del 50% del totale

il campione non è accettabile quando dopo 24 ore il numero degli organismi immobili
è uguale o maggiore
del 80% del totale

(*) I limiti per lo scarico in rete fognaria indicati in tabella 3 sono obbligatori in assenza di limiti stabiliti dall’autorità d’ambito o in mancanza di un impianto finale di trattamento in grado di rispettare i limiti di emissione dello scarico finale. Limiti diversi stabiliti dall’ente gestore devono essere resi conformi a quanto indicato alla nota 2 della tabella 5 relativa a sostanze pericolose .

1. Per i corsi d’acqua la variazione massima tra temperature medie di qualsiasi sezione del corso d’acqua a monte e a valle del punto di immissione non deve superare i 3°C. Su almeno metà di qualsiasi sezione a valle tale variazione non deve superare 1°C. Per i laghi la temperatura dello scarico non deve superare i 30°C e l’incremento di temperatura del corpo recipiente non deve in nessun caso superare i 3°C oltre 50 metri di distanza dal punto di immissione. Per i canali artificiali, il massimo valore medio della temperatura dell’acqua di qualsiasi sezione non deve superare i 35°C, la condizione suddetta è subordinata all’assenso del soggetto che gestisce il canale. Per il mare e per le zone di foce di corsi d’acqua non significativi, la temperatura dello scarico non deve superare i 35°C e l’incremento di temperatura del corpo recipiente non deve in nessun caso superare i 3°C oltre i 1000 metri di distanza dal punto di immissione. Deve inoltre essere assicurata la compatibilità ambientale dello scarico con il corpo recipiente ed evitata la formazione di barriere termiche alla foce dei fiumi.

2. Per quanto riguarda gli scarichi di acque reflue urbane valgono il limiti indicati in tabella 1 e, per le zone sensibili anche quelli di tabella 2. Per quanto riguarda gli scarichi di acque reflue industriali recapitanti in zone sensibili la concentrazione di fosforo totale e di azoto totale deve essere rispettivamente di 1 e 10 mg/L.

3. Tali limiti non valgono per lo scarico in mare, in tal senso le zone di foce sono equiparate alle acque marine costiere, purché almeno sulla metà di una qualsiasi sezione a valle dello scarico non vengano disturbate le naturali variazioni della concentrazione di solfati o di cloruri.

4.   Sono inclusi in questo parametro PCB e PCT

5.   Esclusi i composti come i pesticidi clorurati rientranti sotto i parametro 44, 45, 46, 47 e 48.

6.   All’atto dell’approvazione dell’impianto per il trattamento di acque reflue urbane, da parte dell’autorità competente andrà fissato il limite più opportuno in relazione alla situazione ambientale e igienico sanitaria del corpo idrico recettore e agli usi esistenti. Si consiglia un limite non superiore ai 5000 UFC/100mL

7. Il saggio di tossicità è obbligatorio. Oltre al saggio su Daphnia magna, possono essere eseguiti saggi di tossicità acuta su Ceriodaphnia dubia, Selenastrum capricornutum, batteri bioluminescenti o organismi quali Artemia salina, per scarichi di acqua salata o altri organismi tra quelli che saranno indicati dall’ANPA in appositi documenti tecnici predisposti al fine dell’aggiornamento delle metodiche di campionamento ed analisi. In caso di esecuzione di più test di tossicità si consideri il risultato peggiore. Il risultato positivo della prova di tossicità non determina l’applicazione diretta delle sanzioni di cui al Titolo V, determina altresì l’obbligo di approfondimento delle indagini analitiche, la ricerca delle cause di tossicità e la loro rimozione.

 

Tabella 3/A - Limiti di emissione per unità di prodotto riferiti a specifici cicli produttivi. (omissis)

 

Tabella 4 - Limiti di emissione per le acque reflue urbane ed industriali che recapitano sul suolo

 

 

unità di
misura

(il valore della concentrazione
deve essere minore o uguale
a quello indicato)

1

pH

 

6 - 8

2

SAR

 

10

3

materiali grossolani

 

assenti

4

Solidi sospesi totali

mg/L

25

5

BOD5

mg O2/L

20

6

COD

mg O2/L

100

7

Azoto totale

mg N/L

15

8

Azoto ammoniacale

mg NH4/L

5

9

Fosforo totale

mg P/L

2

10

Tensioattivi totali

mg/L

0,5

11

Alluminio

mg/L

1

12

Berillio

mg/L

0,1

13

Arsenico

mg/L

0,05

14

Bario

mg/L

10

15

Boro

mg/L

0,5

16

Cromo totale

mg/L

1

17

Cromo VI

mg/L

0,05

18

Ferro

mg/L

2

19

Manganese

mg/L

0,2

20

Nichel

mg/L

0,2

21

Piombo

mg/L

0,1

22

Rame

mg/L

0,1

23

Selenio

mg/L

0,002

24

Stagno

mg/L

3

25

Vanadio

mg/L

0,1

26

Zinco

mg/L

0,5

27

Solfuri

mg H2S/L

0,5

28

Solfiti

mg SO3/L

0,5

29

Solfati

mg SO4/L

500

30

Cloro attivo

mg/L

0,2

31

Cloruri

mg Cl/L

100

32

Fluoruri

mg F/L

1

33

Fenoli totali (1)

mg/L

0,1

34

Aldeidi totali

mg/L

0,5

35

Composti organici aromatici totali (2)

mg/L

0,01

36

Composti organici azotati totali (1)

mg/L

0,01

37

Pesticidi fosforati

mg/L

0,01

38

Saggio di tossicità su Daphnia magna
(vedi nota 8 di tabella 3)

LC5024h

il campione non è accettabile quando
dopo 24 ore il numero degli
organismi immobili è uguale o maggiore
del 50% del totale

39

Escherichia coli

UFC/100mL

 

1. Il limite è valido solo per i composti pericolosi quali ad esempio i clorofenoli.

2.  Si intendono comunque esclusi i composti alogenati e le sostanze che possono dare origine a tali composti nell’ambiente idrico, per cui vige comunque il divieto di scarico sul suolo.

 

Tabella 5 - Sostanze per le quali non possono essere adottati da parte delle regioni(1), o da parte del gestore della fognatura(2), limiti meno restrittivi di quelli indicati in tabella 3 rispettivamente per lo scarico in acque superficiali e per lo scarico in fognatura.

1

Arsenico

7

Piombo

13

Composti organici aromatici

2

Cadmio

8

Rame

14

Composti organici azotati (4)

3

Cromo totale

9

Selenio

15

Composti organici alogenati (compresi i pesticidi clorurati)

4

Cromo esavalente

10

Zinco

16

Pesticidi fosforati

5

Mercurio

11

Fenoli

17

Composti organici dello stagno

6

Nichel

12

Idrocarburi totali

18

Sostanze di cui è provato il potere cancerogeno

(1)  Per quanto riguarda gli scarichi in corpo idrico superficiale, nel caso di insediamenti produttivi aventi scarichi con una portata complessiva media giornaliera inferiore a 50 m3, per i parametri della tabella 5, ad eccezione di quelli indicati sotto i numeri 2, 4, 5, 7, 15, 16, e 17 le regioni e le province autonome nell’ambito dei piani di tutela, possono ammettere valori di concentrazione che superano di non oltre il 50% i valori indicati nella tabella 3, purché sia dimostrato che ciò non comporti un peggioramento della situazione ambientale e non pregiudica il raggiungimento gli obiettivi ambientali.

(2)  Per quanto riguarda gli scarichi in fognatura, purché sia garantito che lo scarico finale della fognatura rispetti i limiti di tabella 3, o quelli stabiliti dalle regioni ai sensi dell’articolo 28 comma 2, l’ente gestore può stabilire per i parametri della tabella 5, ad eccezione di quelli indicati sotto i numeri 2, 4, 5, 7, 11, 14, 15, 16 e 17, limiti di accettabilità i cui valori di concentrazione superano quello indicato in tabella 3.

(3)  La limitazione per lo scarico in fognatura, indicata alla nota 2, è valida solo per i fenoli non di tipo naturale quali i cloro fenoli.

(4)  La limitazione per lo scarico in fognatura, indicata alla nota 2, è valida solo per i composti pericolosi quali ad esempio le ammine aromatiche, l’acrilonitrile, l’acrilammide, la piridina, e non per composti di tipo naturali come ad esempio le proteine.

[1] Si intendono come esistenti alla data di entrata in vigore del presente decreto gli scarichi:

a)     gli impianti di trattamento di acque reflue urbane per i quali siano già state completate tutte le procedure relative alle gare di appalto e all’assegnazione lavori;

b)     gli scarichi di acque reflue industriali in esercizio e già autorizzati.

 

ALLEGATO 6

CRITERI PER LA INDIVIDUAZIONE DELLE AREE SENSIBILI

Si considera area sensibile un sistema idrico classificabile in uno dei seguenti gruppi:

a) laghi naturali, altre acque dolci, estuari e acque del litorale già eutrofizzati, o probabilmente esposti a prossima eutrofizzazione, in assenza di interventi protettivi specifici. Per individuare il nutriente da ridurre mediante ulteriore trattamento, vanno tenuti in considerazione i seguenti elementi:

i) nei laghi e nei corsi d’acqua che si immettono in laghi/bacini/baie chiuse con scarso ricambio idrico e ove possono verificarsi fenomeni di accumulazione la sostanza da eliminare è il fosforo, a meno che non si dimostri che tale intervento non avrebbe alcuno effetto sul livello dell’eutrofizzazione. Nel caso di scarichi provenienti da ampi agglomerati si può prevedere di eliminare anche l’azoto;

ii) negli estuari, nelle baie e nelle altre acque del litorale con scarso ricambio idrico, ovvero in cui si immettono grandi quantità di nutrienti, se, da un lato, gli scarichi provenienti da piccoli agglomerati urbani sono generalmente di importanza irrilevante, dall’altro, quelli provenienti da agglomerati più estesi rendono invece necessari interventi di eliminazione del fosforo e/o dell’azoto, a meno che non si dimostri che ciò non avrebbe comunque alcun effetto sul livello dell’eutrofizzazione;

b) acque dolci superficiali destinate alla produzione di acqua potabile che potrebbero contenere, in assenza di interventi, una concentrazione di nitrato superiore a 50 mg/L (stabilita conformemente alle disposizioni pertinenti della direttiva 75/440 concernente la qualità delle acque superficiali destinate alla produzione d’acqua potabile;)

c) aree che necessitano, per gli scarichi afferenti, di un trattamento supplementare al trattamento secondario al fine di conformarsi alle prescrizioni previste dalla presente norma.

Ai sensi del comma 2 punto a) dell’articolo 18, sono da considerare in prima istanza come sensibili i laghi posti ad un’altitudine sotto i 1.000 sul livello del mare.

 

ALLEGATO 7

Parte A - ZONE VULNERABILI DA NITRATI DI ORIGINE AGRICOLA

PARTE A I - CRITERI PER L’INDIVIDUAZIONE DELLE ZONE VULNERABILI (omissis)

CONTROLLI DA ESEGUIRE AI FINI DELLA REVISIONE DELLE ZONE VULNERABILI (omissis)

METODI DI RIFERIMENTO

Concimi chimici

Il metodo di analisi dei composti dell’azoto è stabilito in conformità al D.M. 19 luglio 1989 – Approvazione dei metodi ufficiali di analisi per i fertilizzanti.

Acque dolci, acque costiere e acque marine

Il metodo di analisi per la rilevazione della concentrazione di nitrati è la spettrofotometria di assorbimento molecolare. I laboratori che utilizzano altri metodi di misura devono accertare la comparabilità dei risultati ottenuti.

PARTE A II - ASPETTI METODOLOGICI (omissis)

PARTE A III - ZONE VULNERABILI DESIGNATE (omissis)

PARTE A IV - INDICAZIONI E MISURE PER I PROGRAMMI D’AZIONE

I programmi d’azione sono obbligatori per le zone vulnerabili e tengono conto dei dati scientifici e tecnici disponibili, con riferimento principalmente agli apporti azotati rispettivamente di origine agricola o di altra origine, nonché delle condizioni ambientali locali.

1. I programmi d’azione includono misure relative a:

1)   i periodi in cui è proibita l’applicazione al terreno di determinati tipi di fertilizzanti;

2)   la capacità dei depositi per effluenti di allevamento; tale capacità deve superare quella necessaria per l’immagazzinamento nel periodo più lungo, durante il quale è proibita l’applicazione al terreno di effluenti nella zona vulnerabile, salvo i casi in cui sia dimostrato all’autorità competente che qualsiasi quantitativo di effluente superiore all’effettiva capacità  d’immagazzinamento verrà gestito senza causare danno all’ambiente;

3)   la limitazione dell’applicazione al terreno di fertilizzanti conformemente alla buona pratica agricola e in funzione delle caratteristiche della zona vulnerabile interessata; in particolare si deve tener conto:

a)   delle condizioni, del tipo e della pendenza del suolo;

b)   delle condizioni climatiche, delle precipitazioni e dell’irrigazione;

c)   dell’uso del terreno e delle pratiche agricole, inclusi i sistemi di rotazione e di avvicendamento colturale.

Le misure si basano sull’equilibrio tra il prevedibile fabbisogno di azoto delle colture, e l’apporto di azoto proveniente dal terreno e dalla fertilizzazione, corrispondente:

-        alla quantità di azoto presente nel terreno nel momento in cui la coltura comincia ad assorbirlo in misura significativa (quantità rimanente alla fine dell’inverno);

-        all’apporto di composti di azoto provenienti dalla mineralizzazione netta delle riserve di azoto organico presenti nel terreno;

-        all’aggiunta di composti di azoto provenienti da effluenti di allevamento;

-        all’aggiunta di composti di azoto provenienti da fertilizzanti chimici e da altri fertilizzanti.

I programmi di azione devono contenere almeno le indicazioni riportate nel Codice di Buona Pratica Agricola, ove applicabili.

2. Le misure devono garantire che, per ciascuna azienda o allevamento, il quantitativo di effluente zootecnico sparso sul terreno ogni anno, compreso quello depositato dagli animali stessi, non superi un apporto pari a 170 kg di azoto per ettaro. Tuttavia per i primi due anni del programma di azione il quantitativo di effluente utilizzabile può essere elevato fino ad un apporto corrispondente a 210 kg di azoto per ettaro. I predetti quantitativi sono calcolati sulla base del numero e delle categorie degli animali.

3. Durante e dopo i primi quattro anni di applicazione del programma d’azione le regioni in casi specifici possono fare istanza al Ministero dell’ambiente per lo spargimento di quantitativi di effluenti di allevamento diversi da quelli sopra indicati, ma tali da non compromettere le finalità di cui all’articolo 1, da  motivare e giustificare in base a criteri obiettivi relativi alla gestione del suolo e delle colture, quali:

-        stagioni di crescita prolungate;

-        colture con grado elevato di assorbimento di azoto;

-        terreni con capacità eccezionalmente alta di denitrificazione.

Il Ministero dell’ambiente, acquisito il parere favorevole della Commissione europea, che lo rende  sulla base delle procedure previste all’articolo 9 della direttiva 91/676/CEE, può concedere lo spargimento di tali quantitativi.

PARTE B - ZONE VULNERABILI DA PRODOTTI FITOSANITARI

PARTE B I - CRITERI PER L’INDIVIDUAZIONE

1. Le Regioni e le Province autonome individuano le aree in cui richiedere limitazioni o esclusioni d’impiego, anche temporanee, di prodotti fitosanitari autorizzati, allo scopo di proteggere le risorse idriche e altri comparti rilevanti per la tutela sanitaria o ambientale, ivi inclusi l’entomofauna utile e altri organismi utili, da possibili fenomeni di contaminazione. Un’area è considerata area vulnerabile quando l’utilizzo al suo interno dei prodotti fitosanitari autorizzati pone in condizioni di rischio le risorse idriche e gli altri comparti ambientali rilevanti.

2. Il Ministero della Sanità ai sensi dell’art.5, comma 20 del decreto legislativo 17 marzo 1995, n.194, su documentata richiesta delle Regioni e delle Province autonome, sentita la Commissione consultiva di cui all’articolo 20 dello stesso decreto legislativo, dispone limitazioni o esclusioni d’impiego, anche temporanee, dei prodotti fitosanitari autorizzati nelle aree individuate come zone vulnerabili da prodotti fitosanitari.

3. Le Regioni e le Province autonome provvedono entro un anno, sulla base dei criteri indicati nella parte BII di questo allegato, alla prima individuazione e cartografia delle aree vulnerabili ai prodotti fitosanitari ai fini della tutela delle risorse idriche sotterranee.

Successivamente alla prima individuazione, tenendo conto degli aspetti metodologici indicati nella parte BII punto 3, le Regioni e le Province autonome provvedono ad effettuare la seconda individuazione e la stesura di una cartografia di maggiore dettaglio delle zone vulnerabili dai prodotti fitosanitari.

4. Possono essere considerate zone vulnerabili dai prodotti fitosanitari ai fini della tutela di zone di rilevante interesse naturalistico e della protezione di organismi utili, ivi inclusi insetti e acari utili, uccelli insettivori, mammiferi e anfibi, le aree naturali protette, o porzioni di esse, indicate nell’Elenco Ufficiale di cui all’art. 5 della legge 6 dicembre 1991, n. 394.

5. Le Regioni e le Province autonome predispongono programmi di controllo per garantire il rispetto delle limitazioni o esclusioni d’impiego dei prodotti fitosanitari disposte, su loro richiesta, dal Ministero della Sanità. Esse forniscono al Ministero dell’Ambiente e all’Agenzia Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (ANPA) i dati relativi all’individuazione e alla cartografia delle aree di protezione dai prodotti fitosanitari.

6. L’ ANPA e le Agenzie Regionali per la Protezione dell’Ambiente forniscono supporto tecnico-scientifico alle Regioni e alle Province autonome al fine di:

a)   promuovere uniformità d’intervento nelle fasi di valutazione e cartografia delle aree di protezione dai prodotti fitosanitari;

b)   garantire la congruità delle elaborazioni cartografiche e verificare la qualità delle informazioni ambientali di base (idrogeologiche, pedologiche, ecc.).

7. L’ANPA promuove attività di ricerca nell’ambito delle problematiche relative al destino ambientale dei prodotti fitosanitari autorizzati. Tali attività hanno il fine di acquisire informazioni intese a migliorare e aggiornare i criteri  di individuazione delle aree vulnerabili per i comparti del suolo, delle acque superficiali e sotterranee, nonchè degli organismi non bersaglio.

Il Ministero dell’Ambiente provvede, tenuto conto delle informazioni acquisite e sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, ad aggiornare i criteri per l’individuazione delle aree vulnerabili.

PARTE B II - ASPETTI METODOLOGICI

1. Come per le zone vulnerabili da nitrati, anche nel caso dei fitofarmaci si prevedono due fasi di individuazione delle aree interessate dal fenomeno: una indagine di riconoscimento (prima individuazione) e un’indagine di maggiore dettaglio (seconda individuazione).

2. Indagine preliminare di riconoscimento

Per la prima individuazione delle aree vulnerabili da prodotti fitosanitari si adotta un tipo di indagine, alla scala di 1:250.000, simile a quella indicata in precedenza nella Parte  A II di questo allegato.

2.1 La prima individuazione delle aree vulnerabili comprende, comunque, le aree per le quali le attività di monitoraggio hanno già evidenziato situazioni di compromissione dei corpi idrici sotterranei sulla base degli standard delle acque destinate al consumo umano indicati dal D.P.R. 236/88 per il parametro 55   (antiparassitari e prodotti assimilabili).

Sono escluse, invece, le situazioni in cui la natura delle formazioni rocciose impedisce la presenza di una falda, o dove esiste la protezione determinata da un orizzonte scarsamente permeabile o da un suolo molto reattivo.

Vengono escluse dalle aree vulnerabili le situazioni in cui la natura dei corpi rocciosi impedisce la formazione di un acquifero o dove esiste una protezione determinata da un orizzonte scarsamente permeabile, purchè continuo, o da un suolo molto reattivo.

2.2 Obiettivo dell’indagine preliminare di riconoscimento non è la rappresentazione sistematica delle caratteristiche di vulnerabilità degli acquiferi, quanto piuttosto la individuazione delle porzioni di territorio dove le situazioni pericolose per le acque sotterranee sono particolarmente evidenti.

Per queste attività si rinvia agli aspetti metodologici già indicati nella Parte AII di questo allegato.

2.3 Ai fini della individuazione dei prodotti per i quali le amministrazioni potranno chiedere l’applicazione di eventuali limitazioni o esclusioni d’impiego ci si potrà avvalere di parametri, indici, modelli e sistemi di classificazione che consentano di raggruppare i prodotti fitosanitari in base al loro potenziale di percolazione.

3. Aggiornamenti successivi

L’indagine preliminare di riconoscimento può essere suscettibile di sostanziali approfondimenti e aggiornamenti sulla base di nuove indicazioni, tra cui, in primo luogo, i dati provenienti da attività di monitoraggio che consentono una caratterizzazione e una delimitazione più precisa delle aree vulnerabili.

Questa successiva fase di lavoro, che può procedere parallelamente alle indagini e cartografie maggiore dettaglio, può prevedere inoltre la designazione di più di una classe di vulnerabilità (al massimo 3) riferita ai gradi più elevati e la valutazione della vulnerabilità in relazione alla capacità di attenuazione del suolo, in modo tale che si possa tenere conto delle caratteristiche intrinseche dei prodotti fitosanitari per poterne stabilire limitazioni o esclusioni di impiego sulla base di criteri quanto più possibile obiettivi.

3.1 La seconda individuazione e cartografia è restituita ad una scala maggiormente dettagliata (1:50.000-1:100.000): successivamente o contestualmente alle fasi descritte in precedenza, compatibilmente con la situazione conoscitiva di partenza e con le possibilità operative delle singole amministrazioni, deve essere avviata una indagine con scadenze a medio/lungo termine. Essa convoglia la maggior parte delle risorse tecnico-scientifiche sullo studio delle aree più problematiche, già individuate nel corso delle fasi precedenti.

Obiettivo di questa indagine è l’individuazione della vulnerabilità specifica degli acquiferi e in particolare delle classi di grado più elevato. Si considerano, pertanto, i fattori inerenti la vulnerabilità intrinseca degli acquiferi, la capacità di attenuazione del suolo e le caratteristiche chemiodinamiche dei prodotti fitosanitari .

Ai fini della individuazione dei prodotti per i quali le amministrazioni potranno chiedere l’applicazione di eventuali limitazioni o esclusioni d’impiego ci si potrà avvalere di parametri o indici che consentano di raggruppare i prodotti fitosanitari in base al loro potenziale di percolazione. Si cita, ad esempio, l’indice di Gustafson.

3.2 Le Regioni e le Province Autonome redigono un programma di massima con l’articolazione delle fasi di lavoro e i tempi di attuazione. Tale programma è inviato al Ministero dell’Ambiente e all’ANPA, i quali forniscono supporto tecnico e scientifico alle Regioni e alle Province Autonome.

Le maggiori informazioni derivanti dall’indagine di medio-dettaglio consentiranno di disporre di uno strumento di lavoro utile per la pianificazione dell’impiego dei prodotti fitosanitari a livello locale e permetteranno di precisare, rispetto all’indagine preliminare di riconoscimento, le aree suscettibili di restrizioni o esclusioni d’impiego.

Non si esclude, ovviamente, la possibilità di intraprendere studi di maggior dettaglio a carattere operativo-progettuale, quali strumenti di previsione e, nell’ambito della pianificazione, di prevenzione dei fenomeni di inquinamento. Questi studi sono finalizzati al rilevamento della vulnerabilità e dei rischi presenti in siti specifici (campi pozzi, singole aziende, comprensori, ecc.), all’interno delle più vaste aree definite come vulnerabili, e possono permettere di indicare più nel dettaglio le eventuali restrizioni nel tempo e nello spazio nonché gli indirizzi tecnici cui attenersi nella scelta dei prodotti fitosanitari, dei tempi e delle modalità di esecuzione dei trattamenti.

PARTE B III - ASPETTI GENERALI PER LA CARTOGRAFIA DELLE AREE OVE LE ACQUE SOTTERRANEE SONO POTENZIALMENTE VULNERABILI.

1. Le valutazioni sulla vulnerabilità degli acquiferi all’inquinamento si può avvalere dei Sistemi Informativi Geografici (GIS) quali strumenti per l’archiviazione, l’integrazione, l’elaborazione e la presentazione dei dati geograficamente identificati (georeferenziati). Tali sistemi permettono di integrare, sulla base della loro comune distribuzione nello spazio, grandi masse di informazioni anche di origine e natura diverse.

Le valutazioni possono essere verificate ed eventualmente integrate alla luce di dati diretti sulla qualità delle acque che dovessero rendersi disponibili.

Nel caso in cui si verifichino discordanze con le previsioni effettuate sulla base di valutazioni si procede ad un riesame di queste ultime ed alla ricerca delle motivazioni tecniche di tali divergenze.

Il quadro di riferimento tecnico-scientifico e procedurale prevede di considerare la vulnerabilità su due livelli: vulnerabilità intrinseca degli acquiferi e vulnerabilità specifica.

2. I Livello: Vulnerabilità intrinseca degli acquiferi.

La valutazione della vulnerabilità intrinseca degli acquiferi considera essenzialmente le caratteristiche litostrutturali, idrogeologiche e idrodinamiche del sottosuolo e degli acquiferi presenti. Essa, è riferita a inquinanti generici e non considera le caratteristiche chemiodinamiche delle sostanze. 

2.1 Sono disponibili tre approcci alla valutazione e cartografia della vulnerabilità intrinseca degli acquiferi: metodi qualitativi, metodi parametrici e numerici.

La selezione di uno dei tre metodi dipende dalla disponibilità di dati, dalla scala di riferimento e dalla finalità dell’indagine.

2.2  I metodi qualitativi prevedono la zonizzazione per aree omogenee, valutando la vulnerabilità per complessi e situazioni idrogeologiche generalmente attraverso la tecnica della sovrapposizione cartografica. La valutazione viene fornita per intervalli preordinati e situazioni tipo. Il metodo elaborato dal GNDCI-CNR (1) valuta la vulnerabilità intrinseca mediante la classificazione di alcune caratteristiche litostrutturali delle formazioni acquifere e delle condizioni di circolazione idrica sotterranea.

2.3  I metodi parametrici sono basati sulla valutazione di parametri fondamentali dell’assetto del sottosuolo e delle relazioni col sistema idrologico superficiale, ricondotta a scale di gradi di vulnerabilità. Essi prevedono l’attribuzione a ciascun parametro, suddiviso in intervalli di valori, di un punteggio prefigurato crescente in funzione dell’importanza da esso assunta nella valutazione complessiva. I metodi parametrici sono in genere più complessi poiché richiedono la conoscenza approfondita di un elevato numero di parametri idrogeologici e idrodinamici.

2.4 I metodi numerici sono basati sulla stima di un indice di vulnerabilità (come ad esempio il tempo di permanenza) basato su relazioni matematiche di diversa complessità.

2.5 In relazione allo stato e all’evoluzione delle conoscenze potrà essere approfondito ed opportunamente considerato anche il diverso peso che assume il suolo superficiale nella valutazione della vulnerabilità intrinseca; tale caratteristica viene definita come “capacità di attenuazione del suolo” e presuppone la disponibilità di idonee cartografie geo-pedologiche. 

3. II Livello: Vulnerabilità specifica

Con vulnerabilità specifica s’intende la combinazione della valutazione e cartografia della vulnerabilità intrinseca degli acquiferi con quella della capacità di attenuazione del suolo per una determinata sostanza o gruppo di sostanze. Questa si ottiene dal confronto di alcune caratteristiche chemio-dinamiche della sostanza (capacità di assorbimento ai colloidi del suolo, resistenza ai processi di degradazione, solubilità in acqua, polarità, etc.) con le caratteristiche fisiche, chimiche ed idrauliche del suolo.

La compilazione di cartografie di vulnerabilità specifica deriva da studi approfonditi ed interdisciplinari e richiede l’uso di modelli di simulazione, quali ad esempio PRZM2 e PESTLA.

[1] Gruppo Nazionale per la Difesa dalle Catastrofi Idrogeologiche